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Influence islamique sur la Divina Commedia

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par idir Guessas
Université d'Alger - Licencie en langue appliquée (italien) 2008
  

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DEDICA

Dedico questo modesto lavoro ai miei genitori e la mia famiglia, che mi hanno sostenuto moralmente durante ben quattro anni di laurea.

Lo dedico anche alla mia Beatrice, che era sempre presente quando avevo bisogno di Lei.

Senza dimenticare tutte i fanciulli della famiglia, Mohand cherif, Iman, Asma, Islam, Ithri, Hani.

IDIR

Alla mia famiglia, ad amici ed amiche, che hanno condiviso assieme a me questi anni e partecipato, con entusiasmo, alla preparazione di questo modesto lavoro.

YOUCEF

INTRODUZIONE

Il Duecento fu un secolo particolarissimo nella cultura europea, un secolo in cui mondo arabo e mondo cristiano vennero a contatto in molte aree mediterranee; questo contatto, che in alcuni casi (probabilmente il più delle volte) era uno scontro violento tra due civiltà, che si ritenevano diversissime e che quindi si guardavano con odio e sospetto, in altri casi si trasformava invece in una proficua collaborazione, che portava a quel fenomeno, che purtroppo non si è più verificato in seguito, definito «trasmissione di cultura», grazie al quale gli europei poterono fare quel salto di qualità che riportò la filosofia in Europa, con la nascita della Scolastica. Gli Arabi infatti riportarono in Occidente la cultura e il pensiero greco, che essi, dopo la caduta dell'Impero Romano, avevano provveduto a conservare e, in alcuni casi, a sviluppare. Si crearono quindi molti centri di studio, soprattutto nella Spagna di re Alfonso X il Savio e nella Sicilia di Federico II, nei quali i testi islamici venivano tradotti e studiati. Dante si trovò ad operare in questo periodo ed in questo contesto ed è perciò probabile che anche lui, nella composizione dei suoi lavori non solo, del suo capolavoro, la Divina Commedia, ma anche delle cosiddette «opere minori» abbia risentito di quella «moda musulmana» che aveva contagiato l'Europa.

Si puo parlare nuovamente di un vecchio tema, l'influsso islamico sulle opere di Dante come la Divina Commedia alla fin del secolo XIV. Pur si concorda nel ritenerla il prodigio della letteratura Europea e il più raffinato racconto cristiano europeo, ci interessa ricercare a che punto il testo addebitabile a fonti islamici arabe.

Il problema degli elementi islamici arabi nelle opere di Dante sopratutto nella Divina Commedia può trovare una soluzione considerando la poesia una cartina al tornasole dell'epoca in cui la cultura europea cristiana non era dissociata o chiusa rispetto alla cultura del mondo islamico.

In altri parole la Divina Commedia, oltre a riflettere la condizione politica, religiosa e culturale di Firenze e dell'Italia, ci svela anche che l'Europa stava sotto il primato della cultura islamica nell'arduo tentativo di dar vita a l'una sua identità culturale.

L'orientalista spagnolo Asin Palacios osserva gli influssi islamici dividendoli in tre gruppi :

Il racconto dell'ascensione notturna di Muhammed « pace e benedizione di Dio su di Lui «

( Isra' e Mi'râj) Corano XVII ,1 e LII ,1 e 8.e la tradizione profetica in particolare nelle compilazioni di Bukhârî e Muslim (secolo IX.) e anche le storie popolare e le opere letterarie ; la letteratura islamica parla del viaggio notturno nel libro di Muhy Ad-Din-Ibn Arabi (mistico Andalusiano mori in 1240) e l'Epistola del perdono del poeta Abu al'Ala al-Ma'arri .

Lo scritto di Palasios sollevò una violenta polimica negli ambienti culturali e accademici europei, e gli studiosi si divisero in due fazione contraposti. la diatriba inziata negli anni venti sarebbe potuta durare fino ad oggi se non fosse stato per la scoperta di una traduzione francese e latina del racconto del Mi'râj intitolato la escala de Mahoma risalente al secolo XIX. Gli studiosi scoprirono che era stato già tradotto in lingua casteglina negli anni cinquanta del secolo XIII.

La ricerca moderna ha appurato che Dante fu parecchio influenzato da questo libro, ma nell'ambito di una sua avversità all'islam, anche perché la Divina Commedia si ispirava a un sentimento di inimicizia generalizzato nei confronti di questa religione. La Divina Commedia è un'opera europea giunta proprio durante l'assimilazione di elementi culturali islamici arabi, con loro relativa declinazione e riadattamento.
L'obiettivo della nostra tesi è d'illustarare l'influsso della cultura islamica, sulle opre di Dante in modo particolare la Divina Commedia.

Nel primo capitolo abbiamo parlato del poeta, e del suo capolavoro; la sua vita, il rapporto con Dio e la sua amata Beatrice.

Nel secondo capitolo della tesi, un tentativo di gettare una luce sul fenomeno delle influenze culturali arabo-islamiche sulla Divina Commedia .

Capitolo.I.Dante e la Divina Commedia

I.1.Dante vita e opere

Dante naque a Firenze nel maggio 1265 da una famiglia che si reputiva oriunda dal gentile dei Romani, fondatori della città, e a ragione si poteva considerare nobile per titoli e uffici conseguenti. La sua famiglia era di parte Guelfa, della piccola nobiltà fiorentina, di condizione ormai socialmente ed economicamente modesta. Tuttavia Dante seguì regolari corsì di studi, e frequentò gli ambienti intellettuali e le migliori famiglie della città, come i giovani della buona società che non avevano necessità di lavorare.

1274

Secondo il racconto da lui stesso fatto nella "Vita Nuova" Dante incontra per la prima volta Beatrice, che gli antichi riconoscono nella famiglia di Folco Portinari, poi andata sposa a Simone dei Bardi.

1281-83

Morte del padre, del quale Dante divenuto capo della famiglia eredita i modesti beni, che gli permettono di dedicarsi agli studi e alla vita pubblica. In questi stessi anni(1283) compone il primo sonetto della Vita Nouva, entrando in contatto con altri giovani poeti della città, e in particolare con il più autorevole di loro, Guido Cavalcanti, del quale diviene amico.

1285

Sposa Gemma di Manetto, Dante della quale avrà quatro figli: Giovanni(per il quale ci resta tuttavia un solo e non dirimento documento) Pietro, Jacopo, Antonia.

1290

Morte di Beatrice, secondo il racconto della Vita Nuova e del Convivio, Dante ebbe una grave crisi, che lo portò a scoprire la filosofia e a dedicarsi con grande favore agli studi. Da allora cominciò a frequentare le scuole dei Francescani di Santa Croce e dei Domenicani di Santa Maria Novella.

1302

Gennaio , il podesta cante dei Gabrielli da gubbio, designato dal Papa, apre un'inchiesta contro i capi e i dirigente dei Bianchi. Dante è accusato di daratteria, concussione, opposizione al pontifice e altro. Il 27, mentre è fuori città, forse sulla via del ritorno da Roma, è condannato in conlumacia al pagamento di una somma di 5000 Fiorini piccoli, a due anni di confino, e all'interdizione a vita dagli uffici pubblici. Non essendosi presentato a pagare la penale e a giustificarsi, Dante è condannato al rago con altri quattordici imputati.

1313-18

Soggiorno Veronese, Dante rivede e pubblica le prime due cantiche, e intraprende la stesura dell'ultima, il Paradiso a Verona Dante scrisse anche le ultime tre epistole e probabilmente, ma la datazione è insicura, il trattato sulla Monarchia.

Nel 1315 sono già probabilmente in circolazione Inferno e Purgatorio, il cui versi troviamo citati intesi dei due anni successivi.(*)

1321

Probabilmente tra il Luglio e l'Ogosto, Dante participa a un'ambasceria inviata a Venezia da Guido Novello per scongiurare un possibile attaco da parte della repubblica di San Marco. Si ammala a Venezia, o durante il viaggio, e torna a Ravenna in gravi condizioni di salute, tanto da morire poche settimane dopo.

Settembre, Dante muore a Ravenna, il 14 secondo il Boccaccio, il 13 secondo gli epitaffi alla sua morte.

Le esquie furono celebrate con grande solennità per volere di Guido Novello, e il corpo fu sepolto presso il convento di San Francesco.

I.1.1.Le sue opere sono :

-Divina Commedia .

- opere in volgare: Vita Nuova, le Rime, Convivio

-opere in latino: De volgari Eloquentia, Monarchia

-Epistolo, egloghe, questio, Il fiore , Detto D'amore.1(*)

I.2.La Divina Commedia

La Divina Commedia, originariamente Comedìa, è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incantenate di versi endecasillabi e, tra i prime esempi del genere, in lingua volgare toscana. Considerato il capolavoro del poeta fiorentiono, è una delle più importanti testimonianzie letterarie della civiltà medievale e una delle più grandi opere della letteratura universale conosciuta e studiata in tutto il mondo.

Il poema è diviso in tre parti, chiamate " Cantiche " Inferno, Purgatorio, Paradiso, ognuno delle quali è composta da 33 canti ( tranne l'Inferno, che contiene all'inizio in ulteriore un canto, considerato però una sorta di preludio all'intero poema ). Ed è, infatti, proprio attraverso questi tre regni ultraterreni che il poeta immagina di compiere un viaggio, che lo portò alla redenzione dai suoi peccati.

La Commedia, può prosequendo molti caratteristtici della letterarura e dello stile medievale ( isperazione relgiosa, fine morale linguaggio e stile basati sulla precezione visiva e immediata delle cose ), è anche innovativa, poiché tende ad una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontano dalla spiritualità tipica del Medievo, tesa a cristallizzare la visione del reale .

Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia o Comoedia, del greco" Comodìa" È infatti cosi che Dante stesso chiama la sua opera ( Inferno XXI.1.3), ed inoltre il nome Commedia appare usato nella sua Epistola ( sulla quale però vi sono dubbi di paternità) indirizzata a cangrande della scala, a cui il poeta dedica il Paradiso.

In essa vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferto. Uno di carattere letterario, secondo cui col nome di Commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inzio difficoltoso per il protagonista, si concludeva con un lieto fine, e uno stilistico, giacché la parola Commedia indicava opere scritte in un linguaggio basso e non pretenzioso. Il poema incarna, infatti, entrambi questi aspetti: dalla "salva oscura" del secondo verso, da cui traspare l'animo contrastato del poeta (che è anche il protagonista), si passo alla redenzione finale alla visione di Dio el Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in lingua volgare, la lingua bassa, disprezzata dai letterati del tempo perché, a loro privò di ogni nobilitazione formale.

L'aggetivo Divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio in una sua biografia dantesca, Trattatello in laude di Dante del 1373 circa 70 anni dopo, il periodo in cui, si pensa sia stato scritto il poema. La olizione Divina Commedia, però, divenne comune solo da metà del cinquecento in poi, quando Ludivico Dolce, nella sua edizione critica del 1554, riprese il titolo Boccacciano.

Il nome Commedia appare solo due volte all'interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "Sacro poema". Dante non rinnega il titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la possibiltà di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine "Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiate rispetto ai canti che compongono l'Inferno.

Il discorso sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa all'interno dalla sua opera, contraddicendo sé stesso ma anche le sue fonti, è molto più vasto ed esteso.1(*)

I.3.Dante e Beatrice

I.3.1.Beatrice nella vita nova

Beatrice, che apparave a Dante quando egli aveva nove anni e che alla sua ultima età terina la conduce alla Soglia dell'Empireo, la donna che ispira il suo primo libro giovanile, la Vita Nouva, e che egli sceglie a guida nel poema sacro (Divina commedia) del grande pellegrinaggio umano che è prima di tutto il suo primo pellegrinaggio vessuto e sofferto, resta indissolubilmente legata al poeta nel cuore dei suoi lettori. Egli è riuscito, come il suo amore voleva, a fare splendere per sempre il suo nome di uno splendore vivo e profondo, come pochi altri nomi umani.

Ma la luce che si irradia da Beatrice non rende facile conoscerla ; ella si chiude in un mistero che non è agevole penetrare. Le cronache fiorentine ci fanno sapere che la Beatrice del mondo era la figlia di Folco Portinari. Ma la Beatrice di Dante, quella della Vita Nova e della Divina Commedia, che sola ci importa, questa è ben difficile definirla, ridurla nelle nostre comuni parole senza magia. Molti si sono accaniti a farne soltanto una donna viva e reale. Ma non è su questa via che atterremo risposta da lei. Rifacciamoci a Dante, al suo verso per il quale solo ella vive, all'ultimo Dante, là dove le parvenze vane sono ormai scomparese in una trasparenza di assoluta verità. Quando il pelligrino raggiunge l'Empireo, in quell'inizio del XXX canto del " Paradiso" che è tra le cose più grande che egli ci abbia lasciato, dove la sua penna già si muove dopo tanta fatica, come per naturale potenza e sovrabbondante grazia, e spira l'aura divina dell'ultimo cielo, è venuto il momento per la sua poesia di rinunciare al tema più caro, di cessare dalla lunga consetudine che durava da quando per le prime volte egli tentava di accordare parole nei versi : lascaire cantare Beatrice. Al momento di incontrarsi con Dio Dante perde la sua guida fedele. Anche il più alto e puro degli amori umani non può fare da intermediario, tra il pellegrino e il suo Dio, al quale finalmente è tornato : Ogni legame con la terra è infranto. E in questo addio alla sua donna, e alla poesia che la canta, Dante ci lascia una prezeosa testimonianza.

Tutta la sua vita di poeta gli è davanti, ora, ed egli ripercorrendola col pensiero la vede sempre illuminata da un'immagine fedele, la riconosce come assiduo tentativo di ritrarre quello che di più bello ha visto sulla terra. E dal suo cuore consapevole, dalla distaccata e serena altezza di quest'ora conquistata, dalla sua arte ormai senz'obre e senza residui vani, nascono le sublimi parole:

dal primo giorno ch'io vidi il suo viso

in questa vita,infini a questa vita ,

non n'è il seguire al mio cantar priciso;

ma or convien che moi seguir desista

più dietro a sua bellezza, poelando1(*),

come all'ultimo suo ciascuno artista. ( Pradiso.C.XXX.28-33).

È da qui che besogna partire per conoscere Beatrice, Beatrice vivente creatura del cuore di Dante, parte del suo cuore. Ella sfugge dimano come un fantasmo inafferabile al volerla fermare entro i limiti di un simbolo, o entro la psicologia di un personaggio drammatico. l'uno e l'altro modo non servono con lei. Ella è con Dante in un rapporto molto più intimo, profondo e antico di tutte le altre persone della Commedia, più dello stesso Virgilio. È un pò l'anima stessa di Dante, se così può dire, la luce della sua anima. Perché Beatrice lo lascia veramente, quando la sua poesia cessa di descriverla; ed elgi saluta qui Beatrice tema inesauribile di poesia, Beatrice da discrivere e da lodare, Beatrice miracolo di bellezza da cantare. Miracolo di bellezza da cantare: proprio questo ella è stata, fin dal principio, fin dai primi anni. Ella era l'incarnazione viva e amabile di quella bellezza e quella bontà a cui tendeva la vita di Dante, e colla vita la sua poesia ; in lei Dante poté cantare, e quindi raggiungere, a suo modo, quello che l'animo suo poteva concepire di bello e puro. Perché per Dante tutto si risolveva in poesia: dolore e amore, pentimento, sacrificio, ascesa e gaudio.

I.3.2.Beatrice nella Commedia

La Beatrice della Vita Nouva non è la Beatrice della Commedia. Betarice, specchio nella Vita Nouva della giovinenzza di Dante, muta nella Commedia dove Dante è mutato. La Vita Nouva è un libro lirico, e Beatrice non agisce, non parla neppure. Ma la Commedia è un'alra cosa: qui agisce Dante, e quindi agisce Beatrice. Il vago rapporto di quel primo amore non potrebbe farsi più concreto: Dante si perde, ed ella viene a salvarlo. Siamo nel vivo della vita di Dante, matura di esperienza e di dolore: a lui sull'orlo della morte, ellasi muove per portare soccorso; per lui fatto pellegrino, ella è luce e conforto nella via. Così la poesia di Beatrice si fa dramma, fattasi dramma la vita di Dante ; e che profondo e vivo legame è ora tra loro quell'amore antico, che torna colla potenza di tutti gli anni trascorsi, Dante ricollega più volte la Commedia alla Vita Nouva, come se quella continuasse questa. E componendo, passata ormai la metà della vita, la grande storia di salvezza, affida a quella che fu la luce dei suoi primi anni l'azione centrale. Beatrice apre e chiude infatti tutto il cammino della purificazione, che percorre l'Inferno e il Purgatorio, ed é guida a Dante nel regno della beatitudine. Ella appare nel II canto dell'Inferno, discesa al limbo a chiamare Virgilio in aiuto di Dante. È fatto il confronto nel lungo cammino per i due regni. E ricompare sulla cima del Purgatorio, il compiere l'opera che fa Dante puro per la salita alle stelle. Questo è veramente il momento centrale della poesia di Beatrice, come è il momento centrale della salvezza di Dante. Ella scende qui cinta dell'autorità della beatitudine, in un mirabile trionfo. Ora Dante rivede per la prima volta la soave bellezza che la conquistò quando era fanciullo, ma questo è anche il momento doloroso e grave della confessione. È il momento solonne, dove qualcosa deve essere spezzata perché torni la chiarezza. Dante ha affidato a Beatrice quell'alta autorità e quel compito, perché è l'antico amore per lei che egli ha tradito, è il suo volto che egli ha dimenticato. È Beatrice che salva Dante nella Commedia, perché lei è il bene che egli ha conosciuto e amato nella giovinezza. Tutta la Vita Nouva sta dietro a questa scena.Del tradimento verso quel giorni Dante deve rendere conto ora, a lei che soltanto ora gli riappare con tutta l'antica forza d'incanto. Il suo amore si ridesta potente, coi segni stessi di allora,ma più intesi per l'animo fatto adulto.

 Senza de li occhi aver più conoscenza

per acculta virtù che da lei mosse

d'antico amore senta la gran potenza .

Amore pentimento e vergogna fanno tempesta nel suo cuore. In questa scena drammatica il personaggio è uno solo ed è Dante : Beatrice no è una persona che gli stia di fronte. Esse , gli parla colla sua stessa voce, è la luce alla quale finalmente riapre gli occhi e il suo cuore. L'azione non è in lei, ma in Dante, nella cui tenereba si riflette quella luce. E quando egli è passato attraverso il duro cimento e la vede senza velo, allora nessuno può ridire con che parola egli canta quella bellezza ritrovata: " o isplendor di viva luce eterna...". Così s'innalza la fine del XXXI canto, dove gia vebra la poesia del Paradiso e nella terza cantica, Beatrice si trasfigura ancora, come tutto si trasfigura agli occhi di Dante. Perduta ogni scoria terrena, ella diventa la sinsibile misura dell'immortale splendore che l'occhio del poeta contempla. Dante ha rotto tutti i ponti colla terra; egli tenta qui di ridire, lottando contro la sorda parola, lo stato, sperato e non sperimentato dagli uomini della beatitudine. E Beatrice si fa centro vivente di quella beatitudine, ardore e riso degli stessi cieli, ella che è la prima e sola parvenza di quel mondo che Dante abbia mai visto in terra. Non per nulla è grazie alla sua luce che Dante sale. E quando ella lo ha lasciato alla soglia dell'Empireo, noi la vediamo ancora tendere le mani per lui, nel suo ultimo gesto, chiedendo a Maria che l'aiuti nell'ultimo passo dell'incontro con Dio.

Quasi tutti hanno visto in Beatrice un simbolo di sapienza, di divina sapienza. Ed è probabile che ella lo sia, che ella impersoni quella sapienza che si può avere solo in Paradiso, dove si contempla l'eterna verità. Ma ella non è soltanto questo.

Quest'attributo rientra in un significato più vasto, che è indubbiamente il suo motivo essenziale: ella è dono di grazia, è quello a cui l'uomo non può giungere con le sue sole forze, miracolo che Dio dona a tutte le creature, perché possano arrivare a lui; è quel lume d'eterno che Dante intravvide, e instancabilmente seguì, colla sua vita e la sua arte, fino a toccare coll'una e coll'altra, il Paradiso.

I.4.Dante e Dio

Nella figura di Dante con fluisce la crisi degli istituti e delle forme della civiltà medievale, mentre in tutta la sua opera, perticolarmente nella Divina Commedia, è presente l'estermo tentativo di superare questa crisi per potere restaurare l'equilibrio ormai spezzato. Anche si oggi l'ediale politico del poeta può sembrarci un'utopia, è necessario che lo si comprenda , posto nel suo periodo, per capire la genesi stessa della Divina Commedia.

Bisogna ricordare prima di tutto, il Convivio e la Monarchia: nel primo, Dante si sofferma sulla necesità dell'impero e dei suoi limiti: da Romolo ad Augusto, l'ascesa di Roma fu voluta da Dio e perciò l'autorità data all'Imperatore ha lo scopo di raggiungere i beni temporali, che preparano a quelli spirituali.Tale argomento verrà meglio sviluppato nel De Monarchia in cui Dante vuole dimostrare ancora la necesità dell'impero che, mediante un'autorità iniversale, l'Imperatore, come la luna, riceve, grazie alla benedizione del Papa non il proprio essere, ma la luce della grazia che gli consente di operare con giustizia e onestà.Il poeta è anche convinto che la chiesa non preceda l'impero, perché per i due fini assegnati da Dio all'uomo in terra ( la beatitudine di questa vita e quella della vita eterna) sono necessarie due guide per gli uomoini: il Papa, per guidare l'umanità alla vita eterna e l'Imperatore per la felicità temporale, due poteri autonomi.(Anche se alla fine Dante ammette che ci può essere uno certa subordinazione del principe romano al romano pontifice in qualche cosa, dal momento che la felicità terrena è ordinata verso la felicità eterna).

Il pensiero politico di Dante, con il passare degli anni, sembra (anche se questo è un problema molto dibattuto) abbia subito dei mutamenti: il poeta, con la Divina Commedia pare aver dato, respetto alle opere precedenti, maggiore importenza al rinnovamento della chiesa non solo per i fini ultra terreni ma anche per quelli politici.

Riguardo al fondamentale concetto dell'interpretazione provvidenziale la Divina Commedia sarà meglio compresa, ricordando l'interpretazione figurate di Auerbach, secondo cui la provvidenza divina ha eletto, fin dagli inizi, Roma capitale del mondo, dando al popolo romano grandi vertù per conquistare il mondo e ridurlo in pace; dopo, sotto Augusto, giunse finalmente il momento del Redentore: per questo Roma terrena, figura, anticipazione della Roma celeste, specchio dell'ordine divino nel mondo, diventa il centro del Cristianesimo e sede del Papa. Così, tutta la tradizione romana confluisce nella storia della redenzione.

La Divina Commedia è sicuramente un'opera nel suo insieme politica e autobiografica, ma è particolarmente nei canti sesti dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, che queste caratteristiche si evidenziano maggiormente. Nella sua ascesa verso Dio, Dante " Pellegrino" non può sminuire il valore della città terrena, frutto della sua osservazione della storia, la quale gli serve a dare concretteza alla sua poesia che altrimenti diventerebbe astratta.

Il centro ideale di questa epopea divina è la redenzione, che dà significato religioso al processo provvidenziale della storia, che viene vista così come teologia della storia, per Dante un punto preciso di partenza per giungere, alla fine, al vero supremo, a Dio, diventando, da storia, metastoria.Il poeta riesce a comprendere la realtà del suo tempo grazie alla conoscenza della storia che lo aiuta a fare luce su tutte le mesesie del suo periodo.Egli scorge nelle oscure profondità del consiglio divino il processo del manifestarsi storico: storia eberea e storia romana diventano anche storia sacra.Dante vede Dio-vivere-attraverso i fatti, per indirizzare l'umanità verso uno scopo determinato, diventando cosi ispiratore della storia, fatta dagli uomini:" vedi quanta virtù l'ha fatto degno di riverenza....."(Paradiso C.VI.VV.34.35)

Lo scopo di Dante è fondamentalmente quello di condurre l'umanità dalle lotte e da dolori terreni verso la pace, dalla città terrena alla città celeste verso la purezza della luce divina.Per questo trascendente scopo di giustizia, Dante attraverso le parole politiche di Ciacco, condanna l'uomo che lotta contro l'uomo ed anche l'uso della violenza, di cui è imbevuta la storia.

Il poeta è teso sempre a cercare nella storia un distino, un desegno della provvidenza divina, un giudizio di Dio nello scorrere del tempo storico, un rapporto profondo fra il momento reale, concreto e l'assoluto: quell'ideale assoluto, che è la suprema e ultima speranza al dolore degli uomini, si trova nell'emozione del presente."perché foco d'amor compia in un punto......."( Purgatorio C.VI.VV 38)

Dante l'autore universale e di ogni tempo, trasmette a noi l'importenza e l'eterno attualità di un valore, la fede in qualcosa che superi, tarscenda la triste corrotta realtà, illuminandola di luce divina: infatti è solo questa luce divina che può dare un'ultima e suprema spiegazione a quelle che inzia come semplice e contigente storia umana ma che sarebbe incompleta, assurda ed imperfetta se non tendesse verso uno metastoria, qualcosa che va al di là della stessa storia terrena. Solo con questa speranza, con questa tensione verso l'assoluta, come scopo ultimo della vita terrena, si può vivere ed accettare con dignità la stessa vita terrena, in cui operiamo secondo desegni imperscrutabili.

Capitolo.II.Dante e l'Islam

 

Dante, che riposa venerato a Ravenna, morì nel 1321 a cinquantasei anni di età, dopo aver concluso la Divina Commedia e aver dato una forma sufficientemente chiara all'unica sua opera incompiuta, il Convivio.

Narra una profezia medievale riportata da Luigi Valli che il vero senso dell'opera di Dante sarebbe stato svelato soltanto seicento anni dopo la sua morte.1(*)

Aggiungendo seicento anni alla data della sua morte si arriva al 1921.

Certo è che in questo nostro secolo e proprio intorno al 1920 sono apparse diverse opere molto significative che hanno permesso di beneficiare con una nuova freschezza dell'opera dantesca, in particolare quella che data 1925 di René Guénon,2(*) musulmano di origine occidentale, maestro riverito conosciuto nell'Islâm come lo Shaykh `Abd al Wâhid Yahya, Giovanni Servo dell'Unico Dio, primo di quegli uomini spirituali del nostro tempo in grado di fare effettivamente da ponte tra Oriente ed Occidente.

Fra gli antecedenti dell'opera di Guénon - antecedenti che hanno fornito alla penetrazione spirituale dell'autore molti importanti elementi - è certamente degna di menzione l'opera uscita alle stampe nel 1919 intitolata L'escatologia musulmana nella Divina Commedia del sacerdote spagnolo Don Miguel Asin Palacios, opera soltanto ora tradotta in italiano, dopo settanta anni di attesa. In quest'opera Asin Palacios rileva un'impressionante serie di corrispondenze tra testi appartenenti alla tradizione islamica (ispirati all'ascensione notturna ai cieli del Profeta Muhammad) e tutta l'opera di Dante, in particolar modo la Divina Commedia.

Anche nella tradizione islamica, infatti, il viaggio notturno di Muhammad a cavallo di al-Burâq, simbolo dell'amore divino, parte dalla Mecca per arrivare a Gerusalemme, ed è a partire da qui che ha luogo prima la discesa alle regioni infernali (al Isra'), e poi l'ascensione nei diversi paradisi o sfere celesti (al Mi'raj). Lo scopo del viaggio è la prossimità a Dio, che nell'Islâm esprime l'idea stessa di santità, stazione spirituale che permette la contemplazione diretta della divinità, alla distanza simbolica di «due tiri d'arco». Se i profeti sono eccezionali rispetto a tutti gli uomini per aver ricevuto lo spirito profetico, il loro viaggio spirituale rappresenta il modello di ascesi da imitare per tutti i santi, per tutti i viaggiatori spirituali che si cimentano nel viaggio dell'estinzione di se stessi in nome di quella scienza per eccellenza che è la conoscenza di Dio.

Così Dante, in perfetta conformità con la tradizione cristiana, comincia il suo viaggio di lunedì santo nella selva oscura nei pressi di Gerusalemme, viaggio che durerà tutta la settimana santa fino alla Pasqua di resurrezione.

Naturalmente, a differenza della maggior parte degli orientalisti non è certo nostra intenzione avallare la concezione secondo la quale il linguaggio simbolico proprio alle differenti tradizioni sarebbe ovunque sempre simile in virtù di reciproche prese a prestito o tutt'al più in nome di una comune matrice psicologica propria all'animo umano. Per noi tali vicinanze rilevano dalla verità intrinseca alle differenti tradizioni che tutte derivano dalla comune fonte spirituale trascendente e immanente al tempo stesso che è Dio.

Vi è però una vicinanza tutta particolare durante il Medio Evo fra la tradizione cristiana quella islamica di cui vorremmo qui parlare.

Dante stesso dichiara espressamente fin dall'inizio della Commedia il fatto che il suo viaggio ultraterreno, compiuto nel corso stesso della sua esistenza corporale, non è qualcosa di unico, anzi: egli infatti confessa inizialmente a Virgilio di sentirsi indegno per una tale impresa compiuta prima di lui da grandi uomini come Enea e San Paolo. Dunque gli antecedenti, se volessimo dire «storici», della Divina Commedia sono esplicitamente riferiti alla tradizione romana e al Cristianesimo delle origini; del viaggio notturno del Profeta, com'è naturale, non si fa menzione. Eppure la presenza della spiritualità islamica fin nei dettagli dell'architettura dantesca è abbagliante, e il silenzio su di essa non fa che rimandare alla vitalità dello spirito in contrapposizione alla lettera morta di quei riferimenti al passato virgiliano che Dante può compiere senza tema di urtare alcuna suscettibilità proprio per il fatto stesso che non sono più attuali.

Gli esempi della vicinanza fra il racconto simbolico dantesco e quelli dell'Oriente islamico riportati da Don Palacios sono molteplici: vi sono nella poesia mistica di al Ma`arri tre bestie simboliche che sbarrano la via al pellegrino e sono le stesse bestie - la lonza, il leone e il lupo (nella Divina Commedia è una lupa) - che fanno indietreggiare Dante... Dante è accompagnato da Virgilio come maestro, mentre Muhammad, nella considerazione del suo ruolo di Inviato, direttamente dall'arcangelo Gabriele, ma entrambe queste guide sono giunte per ordine divino; entrambi, durante il viaggio, soddisfano la curiosità del pellegrino. L'Inferno è descritto in modo analogo come tumulto violento e confuso, caratterizzato dalla presenza del fuoco.... L'architettura dell'Inferno dantesco, espressa in questi termini per la prima volta in Occidente, è calcata su quella dell'Inferno musulmano: entrambi consistono in un gigantesco imbuto formato da una serie di piani, di gradi, o di scale circolari che discendono gradualmente fino al fondo della terra; ognuno di essi racchiude una categoria di peccatori, la cui colpevolezza e la pena corrispondente si aggravano a mano a mano che abitano un cerchio più profondo.

Ogni piano si suddivide in differenti altri, destinati a varie categorie di peccatori; infine, questi due Inferni sono entrambi situati sotto la città di Gerusalemme.... Per purificarsi all'uscita dell'Inferno e per potersi elevare al Paradiso, Dante si sottomette ad una triplice abluzione. Una stessa triplice abluzione purifica le anime nella tradizione islamica: prima di penetrare nel Cielo, esse sono immerse successivamente nelle acque di tre fiumi che irrigano il giardino di Abramo... L'architettura delle sfere celesti attraverso cui si compie l'ascensione di Dante è analoga a quella riportata in precedenza in note tradizioni islamiche: nei nove cieli sono disposti, secondo i loro meriti rispettivi, le anime beate che, alla fine, si riuniscono tutte nell'Empireo o ultima sfera... Come Beatrice si ritira d'innanzi a san Bernardo che guida Dante nelle ultime tappe, così Gabriele abbandona Muhammad presso il Trono di Dio dove sarà attirato da una ghirlanda luminosa... La prossimità a Dio è descritta in maniera analoga, come un focolare di Luce intensa, circondato da nove cerchi concentrici formati dalle file serrate d'innumerevoli spiriti angelici emettenti raggi luminosi; una delle file circolari più vicine al focolare è quella dei Cherubini; ogni cerchio circonda il cerchio immediatamente inferiore, e tutti e nove girano senza tregua intorno al centro divino... I piani infernali, i cieli astronomici, i cerchi della rosa mistica, i cori angelici che circondano il focolare della luce divina, i tre cerchi simboleggianti la trinità di persone, spesso sono ripresi da Dante parola per parola dalle opere che raccontano e commentano la personale ascensione di Muhiddyn Ibn Arabi lo Shaykh al-Akbar, il più grande dei maestri del Sufismo, la dimensione interiore dell'Islâm.

Asin Palacios conclude il suo lavoro dicendo: «Risulterà evidente che una sola letteratura religiosa, quella islamica, in uno solo dei suoi temi, quello escatologico, [...] offre al ricercatore una serie di idee, immagini, simboli e descrizioni, corrispondenti a quelle dantesche più abbondante che non tutte le letterature messe insieme finora consultate dai dantisti».1(*)

Si sa che Dante dovette cambiare la struttura del Paradiso in conseguenza di «fatti nuovi» che sconvolsero la vita spirituale e politica dei suoi tempi, come in particolare, nel 1312, la soppressione dell'Ordine dei Templari imposta a Papa Clemente V dal Re di Francia Filippo il Bello, e come infine, nel 1313, il fallimento del tentativo di rivivificazione del Sacro Romano Impero dell'Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, morto in circostanze misteriose.

È noto che una delle funzioni principali della cavalleria occidentale e dei Templari era proprio il mantenimento della comunicazione con l'Oriente, e che tramite la tradizione islamica veniva mantenuto il contatto con l'Oriente più lontano e dunque in un certo senso con quella tradizione Primordiale simboleggiata nel Cristianesimo dai tre Re Magi. La rottura di questa comunicazione e l'estrema testimonianza di Dante sono fra gli avvenimenti più importanti nella storia dell'Occidente moderno che da quel momento in avanti ha cominciato ad incamminarsi in una progressiva parabola discendente. Già Ottone di Frisinga (1111 ca. - 1158), un monaco cistercense, aveva scritto che: «Ogni potere e ogni sapere hanno avuto inizio in Oriente, ma vengono a finire in Occidente, manifestando così la caducità e la decadenza di tutto ciò che è umano».1(*) D'altra parte, con lo scisma tra Cattolici e Ortodossi si era già creata una soluzione di continuità in questo flusso «naturale» di rivitalizzazione tradizionale proveniente dall'Oriente, mutando così la stessa «geografia sacra» del tempo.

Dunque nel detto che abbiamo voluto ricordare, sarebbero passati sei secoli prima che l'opera di Dante potesse tornare ad essere compresa. Al di là del valore storico della profezia, dobbiamo comunque scorgere un insegnamento profondo che riguarda la riapertura stessa della comunicazione con l'Oriente, preludio forse necessario affinché venga testimoniata la verità degli insegnamenti sapienziali tradizionali, premessa indispensabile per poter riconoscere la venuta escatologica del Cristo, la seconda per i cristiani e musulmani, la prima per gli ebrei, ma comunque la stessa per tutto il monoteismo abramico.

Se nel Medio Evo la tradizione islamica ha svolto un particolare ruolo di mediazione fra Oriente e Occidente soprattutto tramite la Spagna e la Sicilia musulmane, oggi, dopo seicento anni, l'Islâm torna a riaffacciarsi direttamente in Occidente. Questo ritorno spirituale è stato accompagnato anche da nuovi elementi sul piano speculativo. Infatti, a partire dall'epoca di René Guénon hanno cominciato a essere tradotte con maggiore consapevolezza in lingue occidentali l'opera di Ibn `Arabî e anche quella di altri importanti santi dell'Islâm che presentano straordinarie analogie con quella di Dante, come ad esempio Farîd ad-Dîn `Attâr, che scrisse il Verbo degli Uccelli, il Viaggio nel Regno del Ritorno di Sana`î (1080 ca. -1150 ca.), o Ibn Hazm, autore del trattato sull'Amore intitolato Il collare della Colomba. Recentemente, inoltre, è stata tradotta in italiano un'opera islamica diffusa nel XIII secolo in lingua castigliana, provenzale e anche in latino e da Dante certamente conosciuta: Il libro della Scala di Muhammad, (o di Maometto come purtroppo si dice ancora in italiano)2(*) riscoperto soltanto nel 1949 e che, a motivo delle consuete concordanze con la Divina Commedia, scrive l'orientalista Carlo Saccone, «costituisce a buon diritto uno dei casi letterari più clamorosi e controversi della prima metà di questo secolo».1(*)

L'inizio di questo ritorno della presenza orientale tramite la forma islamica in Occidente può essere fatto risalire, come abbiamo detto, alla pubblicazione delle opere di René Guénon, che, riferendosi ai lavori di Asin Palacios a proposito delle corrispondenze della Divina Commedia con le opere di Muhiyyddin Ibn Arabi, il Vivificatore della Religione, morto vent'anni prima che Dante nascesse, scriveva: «Tali coincidenze fin nei dettagli estremamente precisi, non possono essere accidentali, e noi abbiamo molte ragioni per ammettere che Dante si sia effettivamente ispirato, per una parte abbastanza importante, agli scritti di Muhiyyddin; ma come li ha conosciuti? Si considera intermediario Brunetto Latini, che aveva dimorato in Spagna; ma questa ipotesi ci pare poco soddisfacente. Muhiyyddin era nato a Murcia, donde il suo nome di Al Andalusi, ma non passò tutta la sua vita in Spagna, e morì a Damasco; d'altro lato, i suoi discepoli erano sparsi in tutto il mondo islamico, ma soprattutto in Siria e in Egitto, e infine è poco probabile che le sue opere siano state fin da allora di dominio pubblico, quando anzi alcune non lo sono mai state. Infatti Muhiyyddin fu molto differente dal «poeta mistico» che immagina Asin Palacios; ciò che quest'ultimo ignora verosimilmente è che, nell'esoterismo islamico, è chiamato Esh-Shaykh al-Akbar, vale a dire il più grande dei maestri spirituali, il maestro per eccellenza, che la sua dottrina è di essenza puramente metafisica, e che parecchi dei principali Ordini iniziatici dell'Islâm, fra quelli che sono i più elevati e i più chiusi nello stesso tempo, procedono direttamente da lui. Abbiamo già indicato che nel XIII secolo, vale a dire all'epoca stessa di Muhiyyddin, tali organizzazioni furono in relazione con gli ordini della Cavalleria, e, per noi, è così che si spiega la trasmissione constatata».2(*)

Ma, vediamo meglio, che cosa furono questi Ordini Cavallereschi di cui ci parla René Guénon?

Con la conquista di Gerusalemme, durante le crociate, alcuni cavalieri cristiani presero i voti monastici e ottennero dalla gerarchia ecclesiastica di potersi costituire come Ordini contemplativi cavallereschi rinnovando così quell'unità tra spirituale e temporale simboleggiata dal Cristo, Re e Sacerdote, prefigurata già in Melkisedek, Re di Giustizia e di Pace che consacrò Abramo in nome di Dio l'Altissimo e che è nella tradizione giudaico-cristiana una figura di quel Re del mondo che rimanda sempre alla nozione di una Tradizione Primordiale, di una Sophia Perennis, di cui le forme rivelate sono come i prolungamenti nella nostra età, l'età del ferro, l'età della decadenza e della perdita dei principi spirituali. Tali prolungamenti, le tradizioni ortodosse attualmente esistenti, permettono però sempre agli uomini di buona volontà di risalire fino alla conoscenza di Dio, bevendo alla fonte di vita eterna rappresentata da quel Graal che era un simbolo cavalleresco molto importante ai tempi di Dante.

D'altra parte la dottrina dei Fedeli d'Amore presente, oltre che in Dante, anche in Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Lippo de' Bardi, Dino Compagni, per citare solo i più famosi, così come prima di loro la dottrina dei poeti siciliani alla Corte di Federico II, è da considerarsi davvero ispirata da questa dimensione primordiale riportata dall'Oriente.

L'Amore di cui parlano gli stilnovisti non è che Dio stesso e la Donna amata, pur considerata nella sua concretezza umana, non fornisce che l'occasione simbolica per ricordarsi del suo prototipo celeste che altro non è se non il primo riflesso dell'Intelletto divino in questo mondo.

L'unione fra l'amante e l'amata è la stessa contemplazione divina, e il saluto è l'irrompere dell'intelligenza celeste nell'anima umana; e si ricordi tutta la sofferenza di Dante per il fatto che Beatrice gli avesse tolto per lungo tempo il saluto. Il fatto poi che da ultimo però Beatrice ceda il passo a san Bernardo nell'ascesa celeste è la riprova della superiorità dell'Intelletto divino primo, nei confronti di quella realtà che, per quanto elevata, è già una realtà creata.

 Al cor gentil ripara sempre Amore,

aveva cantato Guido Guinizzelli, e Dante riprendeva nella Vita Nuova:

 Amore e il cor gentil son una cosa,1(*)

e sottolineava con ciò proprio la conoscenza di Dio per identificazione. Procedeva poi dicendo come l'Amore risieda nel cuore come nella sua magione, dove dorme e riposa tal volta lunga talvolta breve stagione; finché la Bellezza, che appare in una saggia donna, piace così tanto agli occhi del fedele, che nel suo cuore nasce un desiderio di essa che talvolta dura così a lungo da far risvegliare lo spirito d'Amore. Dante conclude dicendo che la stessa cosa provoca nella donna la vista di un uomo di valore. E in un altro sonetto questo spirito d'amore risvegliato viene attratto dall'intelligenza celeste fin oltre il cielo empireo.

 

Oltre la spera che più larga gira

passa 'l sospiro ch'esce dal mio core:

intelligenza nova, che l'Amore

piangendo mette in lui, pur su lo tira.1(*)

 

In cielo lo Spirito incontra Beatrice, archetipo celeste della bellezza, il desiderio della quale era stato risvegliato nel cuore di Dante dalla vista della saggia donna terrena.

Ma la sensibilità spirituale che consente l'operatività dei simboli necessita di un risveglio che non è facile per l'uomo decaduto dal Paradiso Terrestre, e richiede uno sforzo di purificazione simboleggiato proprio dalle lacrime amarissime di Amore. Lo specchio del cuore, per quanto nobile sia in potenza in tutti gli uomini, deve divenire puro e gentile in atto purificandosi dalle passioni terrene e distogliendosi dagli oggetti esterni, così da poter attrarre l'Amore Divino il quale, essendo la Realtà e Luce, non può mancare di riflettersi ove vi sia uno specchio limpido che Gli venga esposto davanti.

Si può ricordare qui come il Profeta Muhammad ricevette in tenera età la visita di due angeli che gli aprirono il petto per estrarne il cuore e purificarlo con la neve in vista della ricezione sacrale del Sacro Corano che Dio fece poi discendere in lui, ricettacolo eletto tra gli uomini, nel suo quarantesimo anno d'età.

Una tradizione islamica esprime il simbolismo iniziatico così: «Vi è per ogni cosa un mezzo per levigarla e ripulirla dalla ruggine. E ciò che serve a levigare il cuore, è il ricordo di Dio (il dhikruLlâh)». I segreti del ritmo e dell'armonia delle sfere che si rispecchiano in ogni espressione sacra sono presenti proprio nel dhikruLlâh islamico, come ancora forse nella preghiera del cuore dell'esichiasmo cristiano ortodosso, chiamata anch'essa mnemé, cioè ricordo, ed anche nei riti interiori di tutte le tradizioni ortodosse finalizzati al ricordo di Dio tramite l'invocazione del Suo nome. Attraverso l'incantamento dell'anima che avviene per mezzo del ritmo dell'invocazione è possibile risalire la scala dell'armonia celeste fino alla prossimità Divina in cui si realizza l'identificazione del nomen divino col Numen che ne costituisce l'essenza.

Quanto detto crediamo sia importante per poter concepire come possano aver avuto origine capolavori assoluti dell'arte e del ritmo come ad esempio le Cattedrali gotiche della Francia o la Divina Commedia in Italia, per riprendere l'accostamento suggestivo fatto da Etienne Gilson.

Molti studiosi non riescono a concepire come nell'opera di Dante l'influsso da parte dell'Islâm possa inserirsi armoniosamente nell'ambito di un contesto di evidente ispirazione cristiana. Noi pensiamo che entrambe le cose, sia l'influenza islamica, sia l'ispirazione cristiana abbiano potuto, senza entrare in contrasto, complementarsi in una sintesi al vertice, corrispondente alla loro comune origine divina.

Anzi, il fatto che Dante riconoscesse l'Islâm come una Tradizione autentica rivelata dallo stesso ed unico Dio, a tal punto da trarre da essa la struttura del suo poema celeste, avvalora ancor più la sua posizione di cristiano metafisico e di maestro realizzato, non ignaro dell'unica Rivelazione posteriore al Cristianesimo, che riconferma quest'ultimo senza affatto abrogarlo, mentre la mancanza di una tale consapevolezza sarebbe da considerare un sintomo di un'incompletezza di conoscenza che Dante non accusa in alcun modo. D'altra parte, la conoscenza dell'unità trascendente delle religioni non è necessariamente alla portata di tutti, né è un requisito indispensabile per quella salvezza dell'anima che rappresenta il minimo cui un uomo possa aspirare tramite la pratica della propria religione e la conformità nella vita ai suoi precetti, perciò non è strano che Dante abbia potuto, specialmente nella Divina Commedia, impiegare delle formulazioni tali da non urtare la sensibilità degli uomini semplici. In questo senso, il modello universale del viaggio spirituale, così fortemente riproposto dalla tradizione islamica, viene vissuto nella Divina Commedia con tutto il supporto del simbolismo cristiano, ad imitazione della vita sacra di Cristo, il quale salì sul Golgota, morì crocefisso, e nei tre giorni successivi discese agli Inferi, risorse nella Gloria Divina e ascese al Cielo, da dove si attende la sua seconda Venuta.

La vicinanza di Dante alla tradizione islamica è però, come espresso anche dal titolo dell'opera di Asin Palacios, soprattutto sul piano escatologico, e non solo relativamente all'escatologia individuale bensì anche, su di un piano macrocosmico, relativamente all'escatologia universale. Un'importante concordanza, infatti, tra il viaggio dantesco e le tradizioni islamiche sul viaggio attraverso i mondi, che rappresentano simbolicamente i molteplici stati dell'essere, fino a Dio, consiste nell'avere lo stesso punto di partenza: Gerusalemme. È questa la «novità» del viaggio dantesco rispetto ai viaggi della tradizione greco-romana.

Se Enea comincia il suo viaggio nel Lazio, poiché in quell'epoca era Roma il centro spirituale che doveva svolgere una particolare funzione per la sua epoca, Dante riporta prepotentemente il senso escatologico per il quale ogni autentico percorso verso Dio deve essere fatto nella prospettiva e nell'anticipazione di quel momento ultimo in cui il Cristo verrà, a Gerusalemme, come giudice nel giudizio universale a cui nessuna anima potrà sottrarsi.

In questo senso, Dante svolge pienamente quella funzione escatologica di richiamo alle realtà essenziali dell'Ora della fine, funzione raccomandata vivamente nella tradizione islamica. Si dice, infatti, che il Profeta Muhammad raccontasse ai suoi compagni della fine di questo mondo in termini tali che essi temevano che il Dajjâl, l'Anticristo, fosse ormai in mezzo a loro e che si sarebbe dovuto manifestare quindi il vero Cristo.

È in questo senso che si manifesta particolarmente la fratellanza spirituale tra il Cristo e Muhammad, che ha infatti detto stringendo assieme le dita di una mano: «In questo mondo e nell'altro non c'è nessuno che mi è più vicino di Saydna `Isa (`a.), il Cristo».

D'altra parte è emblematico che, secondo una tradizione islamica veridica, l'imperatore cristiano Eraclio abbia mostrato ad alcuni ambasciatori inviati dal primo califfo Abu Bakr a Gerusalemme un cofano che conteneva le immagini di tutti i profeti e nell'ultimo scomparto, la figura di Muhammad apparsa, nelle parole degli ambasciatori, «come se lo vedessimo ancora vivo davanti ai nostri occhi».

La realtà metafisica della Gerusalemme terrena esprime un'anticipazione di quella Gerusalemme celeste che è effettivamente il raggiungimento di quello stato primordiale al di là del tempo al quale l'umanità ritornerà alla fine del ciclo, per intraprendere, dopo la fine, un nuovo ciclo di esistenza, un nuovo mondo.

Cristianesimo ed Islâm, le uniche due tradizioni cattoliche, nel senso etimologico, cioè universali, destinate indifferentemente a tutti i popoli e tutte le razze di questo mondo, si trovano unite così nel riconoscimento della realtà spirituale del Cristo, e nella comune attesa della sua seconda venuta, a Gerusalemme, al-Quds, la Città Santa, immagine di quella pace dello Spirito che è la vera patria d'elezione dei santi e dei cavalieri di tutti i tempi.

Conclusioni

È molto difficile tirare delle conclusioni in un dominio cosi complesso ed enorme. È estremamente arduo di avere la prova delle influenze islamiche su Dante e sue opere, come la Divina Commedia, perché sarebbe necessario provare che aveva fisicamente le fonti.

Noi andiamo verso il diabolica di probatio, la prova impossibile.in un processo il giudice, obligato a decidere deve in un caso simili far chiamare le sue proprie convinzioni discese dei dibattiti tenne durante la procedura. Comunque , questo giudizio rischia di essere influenzato dalle sue idee e le sue credenze personali. E delle prove possono essere interpretate così male, ignoto considerato solamente come le semplice indicazioni.c'è perciò, rischio dell'abuso del potere e l'ingiustizia, anche se il giudice è della buon fede.

Bibliografia

1-Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore, Luni Editrice, Milano 1994.

2-René Guénon, L'Esoterismo di Dante, Atanòr, Roma 1951

3-Miguel Asin Palacios, La escatologia musulmana en la Divina Comedia, seguida de la historia y critica de una polémica, segunda edición, Madrid-Granada, 1943.Trad. ital. Dante e l'Islâm, Pratiche Editrice, Parma 1994.

4-Abû al `Ala' al Ma`arrî, Risalat al Ghofran, trad fr. L'Épître du pardon, traduction, introduction et notes par Vincent-Mansour Monteil, Gallimard, Paris 1984

5-Il Libro della Scala , SE, Milano 1991.

6-V, Proleg., in Etienne Gilson, La philosophie au moyen age, trad. it. La filosofia nel Medioevo, La Nuova Italia, Firenze 1973.

7-Sana'i, Viaggio nel Regno del Ritorno, Pratiche Editrice, Parma 1993..

8-Il saggio di Carlo Saccone in conclusione de Il Libro della scala di Maometto, SE, Milano 1991

9-Dante Alighieri, Vita Nuova

10-Dante Alighieri, La Divina Commedia


* 1 la Divina Commedia, a cura di Anna Maria chiavacci Leonardo Arnolore Mondadore editore, Settembre 2007 , Milano.

* 1 Dante Alighieri, pagine scelte, I. P.S,Roma.

* 1 Paradiso XXIII 31-34.

* 1 Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore, Luni Editrice, Milano 1994.

* 2 René Guénon, L'Esoterismo di Dante, Atanòr, Roma 1951

* 1 Citazione riportata nel saggio di Carlo Saccone Il «Mi`raj» di Maometto: una leggenda tra Oriente e Occidente, incluso ne Il Libro della Scala , SE, Milano 1991.

* 1 V, Proleg., in Etienne Gilson, La philosophie au moyen age, trad. it. La filosofia nel Medioevo, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 396-397.

* 2 Il Libro della scala di Maometto, SE, Milano 1991.

* 1 Vedasi il saggio di Carlo Saccone in conclusione de Il Libro della scala di Maometto, SE, Milano 1991.

* 2 René Guénon, L'esoterismo di Dante, Atanor, Roma 1951.

* 1 Amor e il cor gentil son una cosa,

sì come il saggio in suo dittare pone

e l'uno senza l'altro esser osa

com'alma razional senza ragione.

Falli natura quando è amorosa,

Amòr per sire e il cor per sua magione,

dentro la qual dormendo si riposa

tal volta poca e tal lunga stagione.

Bieltate appare in saggia donna pui,

che piace agli occhi sì che dentro al core

nasce un disio della cosa piacente;

e tanto dura talora in costui,

che fa svegliar lo spirito d'Amore.

E simil face in donna omo valente.

Dante, Vita Nuova XX.

* 1 Il sonetto continua:

Quand'elli è giunto là dove disira,

vede una donna che riceve onore,

e luce sì, che per lo suo splendore

lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando 'l mi ridice,

io no lo intendo, sì parla sottile

al cor dolente che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,

però che spesso ricorda Beatrice,

sì ch'io lo 'ntendo ben, donne mie care.

Dante, Vita Nuova XLIII.






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"Le doute est le commencement de la sagesse"   Aristote