DEDICA
Dedico questo modesto lavoro ai miei genitori e la mia
famiglia, che mi hanno sostenuto moralmente durante ben quattro anni di
laurea.
Lo dedico anche alla mia Beatrice, che era sempre presente quando
avevo bisogno di Lei.
Senza dimenticare tutte i fanciulli della famiglia, Mohand
cherif, Iman, Asma, Islam, Ithri, Hani.
IDIR
Alla mia famiglia, ad amici ed amiche, che hanno condiviso
assieme a me questi anni e partecipato, con entusiasmo, alla preparazione di
questo modesto lavoro.
YOUCEF
INTRODUZIONE
Il Duecento fu un secolo particolarissimo nella cultura
europea, un secolo in cui mondo arabo e mondo cristiano vennero a contatto in
molte aree mediterranee; questo contatto, che in alcuni casi (probabilmente il
più delle volte) era uno scontro violento tra due civiltà, che si
ritenevano diversissime e che quindi si guardavano con odio e sospetto, in
altri casi si trasformava invece in una proficua collaborazione, che portava a
quel fenomeno, che purtroppo non si è più verificato in seguito,
definito «trasmissione di cultura», grazie al quale gli europei
poterono fare quel salto di qualità che riportò la filosofia in
Europa, con la nascita della Scolastica. Gli Arabi infatti riportarono in
Occidente la cultura e il pensiero greco, che essi, dopo la caduta dell'Impero
Romano, avevano provveduto a conservare e, in alcuni casi, a sviluppare. Si
crearono quindi molti centri di studio, soprattutto nella Spagna di re Alfonso
X il Savio e nella Sicilia di Federico II, nei quali i testi islamici venivano
tradotti e studiati. Dante si trovò ad operare in questo periodo ed in
questo contesto ed è perciò probabile che anche lui, nella
composizione dei suoi lavori non solo, del suo capolavoro, la Divina Commedia,
ma anche delle cosiddette «opere minori» abbia risentito di quella
«moda musulmana» che aveva contagiato l'Europa.
Si puo parlare nuovamente di un vecchio tema, l'influsso
islamico sulle opere di Dante come la Divina Commedia alla fin del secolo XIV.
Pur si concorda nel ritenerla il prodigio della letteratura Europea e il
più raffinato racconto cristiano europeo, ci interessa ricercare a che
punto il testo addebitabile a fonti islamici arabe.
Il problema degli elementi islamici arabi nelle opere di Dante
sopratutto nella Divina Commedia può trovare una soluzione considerando
la poesia una cartina al tornasole dell'epoca in cui la cultura europea
cristiana non era dissociata o chiusa rispetto alla cultura del mondo
islamico.
In altri parole la Divina Commedia, oltre a riflettere la
condizione politica, religiosa e culturale di Firenze e dell'Italia, ci svela
anche che l'Europa stava sotto il primato della cultura islamica nell'arduo
tentativo di dar vita a l'una sua identità culturale.
L'orientalista spagnolo Asin Palacios osserva gli influssi
islamici dividendoli in tre gruppi :
Il racconto dell'ascensione notturna di Muhammed «
pace e benedizione di Dio su di Lui «
( Isra' e Mi'râj) Corano XVII ,1 e LII ,1 e
8.e la tradizione profetica in particolare nelle compilazioni di
Bukhârî e Muslim (secolo IX.) e anche le storie popolare e le opere
letterarie ; la letteratura islamica parla del viaggio notturno nel libro
di Muhy Ad-Din-Ibn Arabi (mistico Andalusiano mori in 1240) e l'Epistola del
perdono del poeta Abu al'Ala al-Ma'arri .
Lo scritto di Palasios sollevò una violenta polimica
negli ambienti culturali e accademici europei, e gli studiosi si divisero in
due fazione contraposti. la diatriba inziata negli anni venti sarebbe potuta
durare fino ad oggi se non fosse stato per la scoperta di una traduzione
francese e latina del racconto del Mi'râj intitolato la escala de Mahoma
risalente al secolo XIX. Gli studiosi scoprirono che era stato già
tradotto in lingua casteglina negli anni cinquanta del secolo XIII.
La ricerca moderna ha appurato che Dante fu parecchio
influenzato da questo libro, ma nell'ambito di una sua avversità
all'islam, anche perché la Divina Commedia si ispirava a un sentimento
di inimicizia generalizzato nei confronti di questa religione. La Divina
Commedia è un'opera europea giunta proprio durante l'assimilazione di
elementi culturali islamici arabi, con loro relativa declinazione e
riadattamento. L'obiettivo della nostra tesi è d'illustarare
l'influsso della cultura islamica, sulle opre di Dante in modo particolare la
Divina Commedia.
Nel primo capitolo abbiamo parlato del poeta, e del suo
capolavoro; la sua vita, il rapporto con Dio e la sua amata Beatrice.
Nel secondo capitolo della tesi, un tentativo di gettare una
luce sul fenomeno delle influenze culturali arabo-islamiche sulla Divina
Commedia .
Capitolo.I.Dante e la Divina Commedia
I.1.Dante vita e opere
Dante naque a Firenze nel maggio 1265 da una famiglia che si
reputiva oriunda dal gentile dei Romani, fondatori della città, e a
ragione si poteva considerare nobile per titoli e uffici conseguenti. La sua
famiglia era di parte Guelfa, della piccola nobiltà fiorentina, di
condizione ormai socialmente ed economicamente modesta. Tuttavia Dante
seguì regolari corsì di studi, e frequentò gli ambienti
intellettuali e le migliori famiglie della città, come i giovani della
buona società che non avevano necessità di lavorare.
1274
Secondo il racconto da lui stesso fatto nella "Vita
Nuova" Dante incontra per la prima volta Beatrice, che gli antichi
riconoscono nella famiglia di Folco Portinari, poi andata sposa a Simone dei
Bardi.
1281-83
Morte del padre, del quale Dante divenuto capo della famiglia
eredita i modesti beni, che gli permettono di dedicarsi agli studi e alla vita
pubblica. In questi stessi anni(1283) compone il primo sonetto della Vita
Nouva, entrando in contatto con altri giovani poeti della città, e
in particolare con il più autorevole di loro, Guido Cavalcanti, del
quale diviene amico.
1285
Sposa Gemma di Manetto, Dante della quale avrà quatro
figli: Giovanni(per il quale ci resta tuttavia un solo e non dirimento
documento) Pietro, Jacopo, Antonia.
1290
Morte di Beatrice, secondo il racconto della Vita
Nuova e del Convivio, Dante ebbe una grave crisi, che lo
portò a scoprire la filosofia e a dedicarsi con grande favore agli
studi. Da allora cominciò a frequentare le scuole dei Francescani di
Santa Croce e dei Domenicani di Santa Maria Novella.
1302
Gennaio , il podesta cante dei Gabrielli da gubbio, designato
dal Papa, apre un'inchiesta contro i capi e i dirigente dei Bianchi. Dante
è accusato di daratteria, concussione, opposizione al pontifice e altro.
Il 27, mentre è fuori città, forse sulla via del ritorno da Roma,
è condannato in conlumacia al pagamento di una somma di 5000 Fiorini
piccoli, a due anni di confino, e all'interdizione a vita dagli uffici
pubblici. Non essendosi presentato a pagare la penale e a giustificarsi, Dante
è condannato al rago con altri quattordici imputati.
1313-18
Soggiorno Veronese, Dante rivede e pubblica le prime due
cantiche, e intraprende la stesura dell'ultima, il Paradiso a Verona Dante
scrisse anche le ultime tre epistole e probabilmente, ma la datazione è
insicura, il trattato sulla Monarchia.
Nel 1315 sono già probabilmente in circolazione Inferno
e Purgatorio, il cui versi troviamo citati intesi dei due anni successivi.(*)
1321
Probabilmente tra il Luglio e l'Ogosto, Dante participa a
un'ambasceria inviata a Venezia da Guido Novello per scongiurare un possibile
attaco da parte della repubblica di San Marco. Si ammala a Venezia, o durante
il viaggio, e torna a Ravenna in gravi condizioni di salute, tanto da morire
poche settimane dopo.
Settembre, Dante muore a Ravenna, il 14 secondo il Boccaccio,
il 13 secondo gli epitaffi alla sua morte.
Le esquie furono celebrate con grande solennità per
volere di Guido Novello, e il corpo fu sepolto presso il convento di San
Francesco.
I.1.1.Le sue opere sono :
-Divina Commedia .
- opere in volgare: Vita Nuova, le Rime, Convivio
-opere in latino: De volgari Eloquentia, Monarchia
-Epistolo, egloghe, questio, Il fiore , Detto D'amore.1(*)
I.2.La Divina Commedia
La Divina Commedia, originariamente Comedìa, è
un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incantenate di versi
endecasillabi e, tra i prime esempi del genere, in lingua volgare toscana.
Considerato il capolavoro del poeta fiorentiono, è una delle più
importanti testimonianzie letterarie della civiltà medievale e una delle
più grandi opere della letteratura universale conosciuta e studiata in
tutto il mondo.
Il poema è diviso in tre parti, chiamate " Cantiche
" Inferno, Purgatorio, Paradiso, ognuno delle quali è composta da
33 canti ( tranne l'Inferno, che contiene all'inizio in ulteriore un canto,
considerato però una sorta di preludio all'intero poema ). Ed è,
infatti, proprio attraverso questi tre regni ultraterreni che il poeta immagina
di compiere un viaggio, che lo portò alla redenzione dai suoi
peccati.
La Commedia, può prosequendo molti caratteristtici
della letterarura e dello stile medievale ( isperazione relgiosa, fine morale
linguaggio e stile basati sulla precezione visiva e immediata delle cose ),
è anche innovativa, poiché tende ad una rappresentazione ampia e
drammatica della realtà, ben lontano dalla spiritualità tipica
del Medievo, tesa a cristallizzare la visione del reale .
Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia o
Comoedia, del greco" Comodìa" È infatti cosi che Dante stesso
chiama la sua opera ( Inferno XXI.1.3), ed inoltre il nome Commedia appare
usato nella sua Epistola ( sulla quale però vi sono dubbi di
paternità) indirizzata a cangrande della scala, a cui il poeta dedica il
Paradiso.
In essa vengono addotti due motivi per spiegare il titolo
conferto. Uno di carattere letterario, secondo cui col nome di Commedia era
usanza definire un genere letterario che, da un inzio difficoltoso per il
protagonista, si concludeva con un lieto fine, e uno stilistico, giacché
la parola Commedia indicava opere scritte in un linguaggio basso e non
pretenzioso. Il poema incarna, infatti, entrambi questi aspetti: dalla "salva
oscura" del secondo verso, da cui traspare l'animo contrastato del poeta (che
è anche il protagonista), si passo alla redenzione finale alla visione
di Dio el Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in lingua volgare,
la lingua bassa, disprezzata dai letterati del tempo perché, a loro
privò di ogni nobilitazione formale.
L'aggetivo Divina fu usato per la prima volta da Giovanni
Boccaccio in una sua biografia dantesca, Trattatello in laude di Dante
del 1373 circa 70 anni dopo, il periodo in cui, si pensa sia stato scritto il
poema. La olizione Divina Commedia, però, divenne comune solo da
metà del cinquecento in poi, quando Ludivico Dolce, nella sua edizione
critica del 1554, riprese il titolo Boccacciano.
Il nome Commedia appare solo due volte all'interno del poema,
mentre nel Paradiso Dante lo definisce "Sacro poema". Dante non rinnega il
titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche
o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la
possibiltà di revisionare ciò che già era stato reso
pubblico. Il termine "Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento
in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono
profondamente cambiate rispetto ai canti che compongono l'Inferno.
Il discorso sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa
all'interno dalla sua opera, contraddicendo sé stesso ma anche le sue
fonti, è molto più vasto ed esteso.1(*)
I.3.Dante e Beatrice
I.3.1.Beatrice nella vita nova
Beatrice, che apparave a Dante quando egli aveva nove anni e
che alla sua ultima età terina la conduce alla Soglia dell'Empireo, la
donna che ispira il suo primo libro giovanile, la Vita Nouva, e che
egli sceglie a guida nel poema sacro (Divina commedia) del grande
pellegrinaggio umano che è prima di tutto il suo primo pellegrinaggio
vessuto e sofferto, resta indissolubilmente legata al poeta nel cuore dei suoi
lettori. Egli è riuscito, come il suo amore voleva, a fare splendere per
sempre il suo nome di uno splendore vivo e profondo, come pochi altri nomi
umani.
Ma la luce che si irradia da Beatrice non rende facile
conoscerla ; ella si chiude in un mistero che non è agevole
penetrare. Le cronache fiorentine ci fanno sapere che la Beatrice del mondo era
la figlia di Folco Portinari. Ma la Beatrice di Dante, quella della Vita
Nova e della Divina Commedia, che sola ci importa, questa
è ben difficile definirla, ridurla nelle nostre comuni parole senza
magia. Molti si sono accaniti a farne soltanto una donna viva e reale. Ma non
è su questa via che atterremo risposta da lei. Rifacciamoci a Dante, al
suo verso per il quale solo ella vive, all'ultimo Dante, là dove le
parvenze vane sono ormai scomparese in una trasparenza di assoluta
verità. Quando il pelligrino raggiunge l'Empireo, in quell'inizio del
XXX canto del " Paradiso" che è tra le cose più grande che egli
ci abbia lasciato, dove la sua penna già si muove dopo tanta fatica,
come per naturale potenza e sovrabbondante grazia, e spira l'aura divina
dell'ultimo cielo, è venuto il momento per la sua poesia di rinunciare
al tema più caro, di cessare dalla lunga consetudine che durava da
quando per le prime volte egli tentava di accordare parole nei versi : lascaire
cantare Beatrice. Al momento di incontrarsi con Dio Dante perde la sua guida
fedele. Anche il più alto e puro degli amori umani non può fare
da intermediario, tra il pellegrino e il suo Dio, al quale finalmente è
tornato : Ogni legame con la terra è infranto. E in questo addio
alla sua donna, e alla poesia che la canta, Dante ci lascia una prezeosa
testimonianza.
Tutta la sua vita di poeta gli è davanti, ora, ed egli
ripercorrendola col pensiero la vede sempre illuminata da un'immagine fedele,
la riconosce come assiduo tentativo di ritrarre quello che di più bello
ha visto sulla terra. E dal suo cuore consapevole, dalla distaccata e serena
altezza di quest'ora conquistata, dalla sua arte ormai senz'obre e senza
residui vani, nascono le sublimi parole:
dal primo giorno ch'io vidi il suo viso
in questa vita,infini a questa vita ,
non n'è il seguire al mio cantar priciso;
ma or convien che moi seguir desista
più dietro a sua bellezza, poelando1(*),
come all'ultimo suo ciascuno artista. (
Pradiso.C.XXX.28-33).
È da qui che besogna partire per conoscere Beatrice,
Beatrice vivente creatura del cuore di Dante, parte del suo cuore. Ella sfugge
dimano come un fantasmo inafferabile al volerla fermare entro i limiti di un
simbolo, o entro la psicologia di un personaggio drammatico. l'uno e l'altro
modo non servono con lei. Ella è con Dante in un rapporto molto
più intimo, profondo e antico di tutte le altre persone della Commedia,
più dello stesso Virgilio. È un pò l'anima stessa di
Dante, se così può dire, la luce della sua anima. Perché
Beatrice lo lascia veramente, quando la sua poesia cessa di descriverla; ed
elgi saluta qui Beatrice tema inesauribile di poesia, Beatrice da discrivere e
da lodare, Beatrice miracolo di bellezza da cantare. Miracolo di bellezza da
cantare: proprio questo ella è stata, fin dal principio, fin dai primi
anni. Ella era l'incarnazione viva e amabile di quella bellezza e quella
bontà a cui tendeva la vita di Dante, e colla vita la sua poesia ;
in lei Dante poté cantare, e quindi raggiungere, a suo modo, quello che
l'animo suo poteva concepire di bello e puro. Perché per Dante tutto si
risolveva in poesia: dolore e amore, pentimento, sacrificio, ascesa e
gaudio.
I.3.2.Beatrice nella Commedia
La Beatrice della Vita Nouva non è la Beatrice
della Commedia. Betarice, specchio nella Vita Nouva
della giovinenzza di Dante, muta nella Commedia dove Dante è
mutato. La Vita Nouva è un libro lirico, e Beatrice non agisce,
non parla neppure. Ma la Commedia è un'alra cosa: qui agisce
Dante, e quindi agisce Beatrice. Il vago rapporto di quel primo amore non
potrebbe farsi più concreto: Dante si perde, ed ella viene a salvarlo.
Siamo nel vivo della vita di Dante, matura di esperienza e di dolore: a lui
sull'orlo della morte, ellasi muove per portare soccorso; per lui fatto
pellegrino, ella è luce e conforto nella via. Così la poesia di
Beatrice si fa dramma, fattasi dramma la vita di Dante ; e che profondo e
vivo legame è ora tra loro quell'amore antico, che torna colla potenza
di tutti gli anni trascorsi, Dante ricollega più volte la
Commedia alla Vita Nouva, come se quella continuasse questa.
E componendo, passata ormai la metà della vita, la grande storia di
salvezza, affida a quella che fu la luce dei suoi primi anni l'azione centrale.
Beatrice apre e chiude infatti tutto il cammino della purificazione, che
percorre l'Inferno e il Purgatorio, ed é guida a Dante nel regno della
beatitudine. Ella appare nel II canto dell'Inferno, discesa al limbo a chiamare
Virgilio in aiuto di Dante. È fatto il confronto nel lungo cammino per i
due regni. E ricompare sulla cima del Purgatorio, il compiere l'opera che fa
Dante puro per la salita alle stelle. Questo è veramente il momento
centrale della poesia di Beatrice, come è il momento centrale della
salvezza di Dante. Ella scende qui cinta dell'autorità della
beatitudine, in un mirabile trionfo. Ora Dante rivede per la prima volta la
soave bellezza che la conquistò quando era fanciullo, ma questo è
anche il momento doloroso e grave della confessione. È il momento
solonne, dove qualcosa deve essere spezzata perché torni la chiarezza.
Dante ha affidato a Beatrice quell'alta autorità e quel compito,
perché è l'antico amore per lei che egli ha tradito, è il
suo volto che egli ha dimenticato. È Beatrice che salva Dante nella
Commedia, perché lei è il bene che egli ha conosciuto e amato
nella giovinezza. Tutta la Vita Nouva sta dietro a questa scena.Del
tradimento verso quel giorni Dante deve rendere conto ora, a lei che soltanto
ora gli riappare con tutta l'antica forza d'incanto. Il suo amore si ridesta
potente, coi segni stessi di allora,ma più intesi per l'animo fatto
adulto.
Senza de li occhi aver più
conoscenza
per acculta virtù che da lei mosse
d'antico amore senta la gran potenza .
Amore pentimento e vergogna fanno tempesta nel suo cuore. In
questa scena drammatica il personaggio è uno solo ed è Dante :
Beatrice no è una persona che gli stia di fronte. Esse , gli parla colla
sua stessa voce, è la luce alla quale finalmente riapre gli occhi e il
suo cuore. L'azione non è in lei, ma in Dante, nella cui tenereba si
riflette quella luce. E quando egli è passato attraverso il duro cimento
e la vede senza velo, allora nessuno può ridire con che parola egli
canta quella bellezza ritrovata: " o isplendor di viva luce
eterna...". Così s'innalza la fine del XXXI canto, dove gia vebra
la poesia del Paradiso e nella terza cantica, Beatrice si trasfigura ancora,
come tutto si trasfigura agli occhi di Dante. Perduta ogni scoria terrena, ella
diventa la sinsibile misura dell'immortale splendore che l'occhio del poeta
contempla. Dante ha rotto tutti i ponti colla terra; egli tenta qui di ridire,
lottando contro la sorda parola, lo stato, sperato e non sperimentato dagli
uomini della beatitudine. E Beatrice si fa centro vivente di quella
beatitudine, ardore e riso degli stessi cieli, ella che è la prima e
sola parvenza di quel mondo che Dante abbia mai visto in terra. Non per nulla
è grazie alla sua luce che Dante sale. E quando ella lo ha lasciato alla
soglia dell'Empireo, noi la vediamo ancora tendere le mani per lui, nel suo
ultimo gesto, chiedendo a Maria che l'aiuti nell'ultimo passo dell'incontro con
Dio.
Quasi tutti hanno visto in Beatrice un simbolo di sapienza, di
divina sapienza. Ed è probabile che ella lo sia, che ella impersoni
quella sapienza che si può avere solo in Paradiso, dove si contempla
l'eterna verità. Ma ella non è soltanto questo.
Quest'attributo rientra in un significato più vasto,
che è indubbiamente il suo motivo essenziale: ella è dono di
grazia, è quello a cui l'uomo non può giungere con le sue sole
forze, miracolo che Dio dona a tutte le creature, perché possano
arrivare a lui; è quel lume d'eterno che Dante intravvide, e
instancabilmente seguì, colla sua vita e la sua arte, fino a toccare
coll'una e coll'altra, il Paradiso.
I.4.Dante e Dio
Nella figura di Dante con fluisce la crisi degli istituti e
delle forme della civiltà medievale, mentre in tutta la sua opera,
perticolarmente nella Divina Commedia, è presente l'estermo
tentativo di superare questa crisi per potere restaurare l'equilibrio ormai
spezzato. Anche si oggi l'ediale politico del poeta può sembrarci
un'utopia, è necessario che lo si comprenda , posto nel suo periodo, per
capire la genesi stessa della Divina Commedia.
Bisogna ricordare prima di tutto, il Convivio e la
Monarchia: nel primo, Dante si sofferma sulla necesità
dell'impero e dei suoi limiti: da Romolo ad Augusto, l'ascesa di Roma fu voluta
da Dio e perciò l'autorità data all'Imperatore ha lo scopo di
raggiungere i beni temporali, che preparano a quelli spirituali.Tale argomento
verrà meglio sviluppato nel De Monarchia in cui Dante vuole
dimostrare ancora la necesità dell'impero che, mediante
un'autorità iniversale, l'Imperatore, come la luna, riceve, grazie alla
benedizione del Papa non il proprio essere, ma la luce della grazia che gli
consente di operare con giustizia e onestà.Il poeta è anche
convinto che la chiesa non preceda l'impero, perché per i due fini
assegnati da Dio all'uomo in terra ( la beatitudine di questa vita e quella
della vita eterna) sono necessarie due guide per gli uomoini: il Papa, per
guidare l'umanità alla vita eterna e l'Imperatore per la felicità
temporale, due poteri autonomi.(Anche se alla fine Dante ammette che ci
può essere uno certa subordinazione del principe romano al romano
pontifice in qualche cosa, dal momento che la felicità terrena è
ordinata verso la felicità eterna).
Il pensiero politico di Dante, con il passare degli anni,
sembra (anche se questo è un problema molto dibattuto) abbia subito dei
mutamenti: il poeta, con la Divina Commedia pare aver dato, respetto
alle opere precedenti, maggiore importenza al rinnovamento della chiesa non
solo per i fini ultra terreni ma anche per quelli politici.
Riguardo al fondamentale concetto dell'interpretazione
provvidenziale la Divina Commedia sarà meglio compresa,
ricordando l'interpretazione figurate di Auerbach, secondo cui la provvidenza
divina ha eletto, fin dagli inizi, Roma capitale del mondo, dando al popolo
romano grandi vertù per conquistare il mondo e ridurlo in pace; dopo,
sotto Augusto, giunse finalmente il momento del Redentore: per questo Roma
terrena, figura, anticipazione della Roma celeste, specchio dell'ordine divino
nel mondo, diventa il centro del Cristianesimo e sede del Papa. Così,
tutta la tradizione romana confluisce nella storia della redenzione.
La Divina Commedia è sicuramente un'opera nel
suo insieme politica e autobiografica, ma è particolarmente nei canti
sesti dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, che queste caratteristiche
si evidenziano maggiormente. Nella sua ascesa verso Dio, Dante " Pellegrino"
non può sminuire il valore della città terrena, frutto della sua
osservazione della storia, la quale gli serve a dare concretteza alla sua
poesia che altrimenti diventerebbe astratta.
Il centro ideale di questa epopea divina è la
redenzione, che dà significato religioso al processo provvidenziale
della storia, che viene vista così come teologia della storia, per Dante
un punto preciso di partenza per giungere, alla fine, al vero supremo, a Dio,
diventando, da storia, metastoria.Il poeta riesce a comprendere la
realtà del suo tempo grazie alla conoscenza della storia che lo aiuta a
fare luce su tutte le mesesie del suo periodo.Egli scorge nelle oscure
profondità del consiglio divino il processo del manifestarsi storico:
storia eberea e storia romana diventano anche storia sacra.Dante vede
Dio-vivere-attraverso i fatti, per indirizzare l'umanità verso uno scopo
determinato, diventando cosi ispiratore della storia, fatta dagli uomini:"
vedi quanta virtù l'ha fatto degno di riverenza....."(Paradiso
C.VI.VV.34.35)
Lo scopo di Dante è fondamentalmente quello di condurre
l'umanità dalle lotte e da dolori terreni verso la pace, dalla
città terrena alla città celeste verso la purezza della luce
divina.Per questo trascendente scopo di giustizia, Dante attraverso le parole
politiche di Ciacco, condanna l'uomo che lotta contro l'uomo ed anche l'uso
della violenza, di cui è imbevuta la storia.
Il poeta è teso sempre a cercare nella storia un
distino, un desegno della provvidenza divina, un giudizio di Dio nello scorrere
del tempo storico, un rapporto profondo fra il momento reale, concreto e
l'assoluto: quell'ideale assoluto, che è la suprema e ultima speranza al
dolore degli uomini, si trova nell'emozione del presente."perché
foco d'amor compia in un punto......."( Purgatorio
C.VI.VV 38)
Dante l'autore universale e di ogni tempo, trasmette a noi
l'importenza e l'eterno attualità di un valore, la fede in qualcosa che
superi, tarscenda la triste corrotta realtà, illuminandola di luce
divina: infatti è solo questa luce divina che può dare un'ultima
e suprema spiegazione a quelle che inzia come semplice e contigente storia
umana ma che sarebbe incompleta, assurda ed imperfetta se non tendesse verso
uno metastoria, qualcosa che va al di là della stessa storia terrena.
Solo con questa speranza, con questa tensione verso l'assoluta, come scopo
ultimo della vita terrena, si può vivere ed accettare con dignità
la stessa vita terrena, in cui operiamo secondo desegni imperscrutabili.
Capitolo.II.Dante e l'Islam
Dante, che riposa venerato a Ravenna, morì nel 1321 a
cinquantasei anni di età, dopo aver concluso la Divina Commedia e aver
dato una forma sufficientemente chiara all'unica sua opera incompiuta, il
Convivio.
Narra una profezia medievale riportata da Luigi Valli che il
vero senso dell'opera di Dante sarebbe stato svelato soltanto seicento anni
dopo la sua morte.1(*)
Aggiungendo seicento anni alla data della sua morte si arriva
al 1921.
Certo è che in questo nostro secolo e proprio intorno
al 1920 sono apparse diverse opere molto significative che hanno permesso di
beneficiare con una nuova freschezza dell'opera dantesca, in particolare quella
che data 1925 di René Guénon,2(*) musulmano di origine occidentale, maestro riverito
conosciuto nell'Islâm come lo Shaykh `Abd al Wâhid Yahya, Giovanni
Servo dell'Unico Dio, primo di quegli uomini spirituali del nostro tempo in
grado di fare effettivamente da ponte tra Oriente ed Occidente.
Fra gli antecedenti dell'opera di Guénon - antecedenti
che hanno fornito alla penetrazione spirituale dell'autore molti importanti
elementi - è certamente degna di menzione l'opera uscita alle stampe nel
1919 intitolata L'escatologia musulmana nella Divina Commedia del sacerdote
spagnolo Don Miguel Asin Palacios, opera soltanto ora tradotta in italiano,
dopo settanta anni di attesa. In quest'opera Asin Palacios rileva
un'impressionante serie di corrispondenze tra testi appartenenti alla
tradizione islamica (ispirati all'ascensione notturna ai cieli del Profeta
Muhammad) e tutta l'opera di Dante, in particolar modo la Divina Commedia.
Anche nella tradizione islamica, infatti, il viaggio notturno
di Muhammad a cavallo di al-Burâq, simbolo dell'amore divino, parte dalla
Mecca per arrivare a Gerusalemme, ed è a partire da qui che ha luogo
prima la discesa alle regioni infernali (al Isra'), e poi l'ascensione nei
diversi paradisi o sfere celesti (al Mi'raj). Lo scopo del viaggio è la
prossimità a Dio, che nell'Islâm esprime l'idea stessa di
santità, stazione spirituale che permette la contemplazione diretta
della divinità, alla distanza simbolica di «due tiri d'arco».
Se i profeti sono eccezionali rispetto a tutti gli uomini per aver ricevuto lo
spirito profetico, il loro viaggio spirituale rappresenta il modello di ascesi
da imitare per tutti i santi, per tutti i viaggiatori spirituali che si
cimentano nel viaggio dell'estinzione di se stessi in nome di quella scienza
per eccellenza che è la conoscenza di Dio.
Così Dante, in perfetta conformità con la
tradizione cristiana, comincia il suo viaggio di lunedì santo nella
selva oscura nei pressi di Gerusalemme, viaggio che durerà tutta la
settimana santa fino alla Pasqua di resurrezione.
Naturalmente, a differenza della maggior parte degli
orientalisti non è certo nostra intenzione avallare la concezione
secondo la quale il linguaggio simbolico proprio alle differenti tradizioni
sarebbe ovunque sempre simile in virtù di reciproche prese a prestito o
tutt'al più in nome di una comune matrice psicologica propria all'animo
umano. Per noi tali vicinanze rilevano dalla verità intrinseca alle
differenti tradizioni che tutte derivano dalla comune fonte spirituale
trascendente e immanente al tempo stesso che è Dio.
Vi è però una vicinanza tutta particolare
durante il Medio Evo fra la tradizione cristiana quella islamica di cui
vorremmo qui parlare.
Dante stesso dichiara espressamente fin dall'inizio della
Commedia il fatto che il suo viaggio ultraterreno, compiuto nel corso stesso
della sua esistenza corporale, non è qualcosa di unico, anzi: egli
infatti confessa inizialmente a Virgilio di sentirsi indegno per una tale
impresa compiuta prima di lui da grandi uomini come Enea e San Paolo. Dunque
gli antecedenti, se volessimo dire «storici», della Divina Commedia
sono esplicitamente riferiti alla tradizione romana e al Cristianesimo delle
origini; del viaggio notturno del Profeta, com'è naturale, non si fa
menzione. Eppure la presenza della spiritualità islamica fin nei
dettagli dell'architettura dantesca è abbagliante, e il silenzio su di
essa non fa che rimandare alla vitalità dello spirito in
contrapposizione alla lettera morta di quei riferimenti al passato virgiliano
che Dante può compiere senza tema di urtare alcuna suscettibilità
proprio per il fatto stesso che non sono più attuali.
Gli esempi della vicinanza fra il racconto simbolico dantesco
e quelli dell'Oriente islamico riportati da Don Palacios sono molteplici: vi
sono nella poesia mistica di al Ma`arri tre bestie simboliche che sbarrano la
via al pellegrino e sono le stesse bestie - la lonza, il leone e il lupo (nella
Divina Commedia è una lupa) - che fanno indietreggiare Dante... Dante
è accompagnato da Virgilio come maestro, mentre Muhammad, nella
considerazione del suo ruolo di Inviato, direttamente dall'arcangelo Gabriele,
ma entrambe queste guide sono giunte per ordine divino; entrambi, durante il
viaggio, soddisfano la curiosità del pellegrino. L'Inferno è
descritto in modo analogo come tumulto violento e confuso, caratterizzato dalla
presenza del fuoco.... L'architettura dell'Inferno dantesco, espressa in questi
termini per la prima volta in Occidente, è calcata su quella
dell'Inferno musulmano: entrambi consistono in un gigantesco imbuto formato da
una serie di piani, di gradi, o di scale circolari che discendono gradualmente
fino al fondo della terra; ognuno di essi racchiude una categoria di peccatori,
la cui colpevolezza e la pena corrispondente si aggravano a mano a mano che
abitano un cerchio più profondo.
Ogni piano si suddivide in differenti altri, destinati a varie
categorie di peccatori; infine, questi due Inferni sono entrambi situati sotto
la città di Gerusalemme.... Per purificarsi all'uscita dell'Inferno e
per potersi elevare al Paradiso, Dante si sottomette ad una triplice abluzione.
Una stessa triplice abluzione purifica le anime nella tradizione islamica:
prima di penetrare nel Cielo, esse sono immerse successivamente nelle acque di
tre fiumi che irrigano il giardino di Abramo... L'architettura delle sfere
celesti attraverso cui si compie l'ascensione di Dante è analoga a
quella riportata in precedenza in note tradizioni islamiche: nei nove cieli
sono disposti, secondo i loro meriti rispettivi, le anime beate che, alla fine,
si riuniscono tutte nell'Empireo o ultima sfera... Come Beatrice si ritira
d'innanzi a san Bernardo che guida Dante nelle ultime tappe, così
Gabriele abbandona Muhammad presso il Trono di Dio dove sarà attirato da
una ghirlanda luminosa... La prossimità a Dio è descritta in
maniera analoga, come un focolare di Luce intensa, circondato da nove cerchi
concentrici formati dalle file serrate d'innumerevoli spiriti angelici
emettenti raggi luminosi; una delle file circolari più vicine al
focolare è quella dei Cherubini; ogni cerchio circonda il cerchio
immediatamente inferiore, e tutti e nove girano senza tregua intorno al centro
divino... I piani infernali, i cieli astronomici, i cerchi della rosa mistica,
i cori angelici che circondano il focolare della luce divina, i tre cerchi
simboleggianti la trinità di persone, spesso sono ripresi da Dante
parola per parola dalle opere che raccontano e commentano la personale
ascensione di Muhiddyn Ibn Arabi lo Shaykh al-Akbar, il più grande dei
maestri del Sufismo, la dimensione interiore dell'Islâm.
Asin Palacios conclude il suo lavoro dicendo:
«Risulterà evidente che una sola letteratura religiosa, quella
islamica, in uno solo dei suoi temi, quello escatologico, [...] offre al
ricercatore una serie di idee, immagini, simboli e descrizioni, corrispondenti
a quelle dantesche più abbondante che non tutte le letterature
messe insieme finora consultate dai dantisti».1(*)
Si sa che Dante dovette cambiare la struttura del Paradiso in
conseguenza di «fatti nuovi» che sconvolsero la vita spirituale e
politica dei suoi tempi, come in particolare, nel 1312, la soppressione
dell'Ordine dei Templari imposta a Papa Clemente V dal Re di Francia Filippo il
Bello, e come infine, nel 1313, il fallimento del tentativo di rivivificazione
del Sacro Romano Impero dell'Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, morto in
circostanze misteriose.
È noto che una delle funzioni principali della
cavalleria occidentale e dei Templari era proprio il mantenimento della
comunicazione con l'Oriente, e che tramite la tradizione islamica veniva
mantenuto il contatto con l'Oriente più lontano e dunque in un certo
senso con quella tradizione Primordiale simboleggiata nel Cristianesimo dai tre
Re Magi. La rottura di questa comunicazione e l'estrema testimonianza di Dante
sono fra gli avvenimenti più importanti nella storia dell'Occidente
moderno che da quel momento in avanti ha cominciato ad incamminarsi in una
progressiva parabola discendente. Già Ottone di Frisinga (1111 ca. -
1158), un monaco cistercense, aveva scritto che: «Ogni potere e ogni
sapere hanno avuto inizio in Oriente, ma vengono a finire in Occidente,
manifestando così la caducità e la decadenza di tutto ciò
che è umano».1(*) D'altra parte, con lo scisma tra Cattolici e Ortodossi
si era già creata una soluzione di continuità in questo flusso
«naturale» di rivitalizzazione tradizionale proveniente dall'Oriente,
mutando così la stessa «geografia sacra» del tempo.
Dunque nel detto che abbiamo voluto ricordare, sarebbero
passati sei secoli prima che l'opera di Dante potesse tornare ad essere
compresa. Al di là del valore storico della profezia, dobbiamo comunque
scorgere un insegnamento profondo che riguarda la riapertura stessa della
comunicazione con l'Oriente, preludio forse necessario affinché venga
testimoniata la verità degli insegnamenti sapienziali tradizionali,
premessa indispensabile per poter riconoscere la venuta escatologica del
Cristo, la seconda per i cristiani e musulmani, la prima per gli ebrei, ma
comunque la stessa per tutto il monoteismo abramico.
Se nel Medio Evo la tradizione islamica ha svolto un
particolare ruolo di mediazione fra Oriente e Occidente soprattutto tramite la
Spagna e la Sicilia musulmane, oggi, dopo seicento anni, l'Islâm torna a
riaffacciarsi direttamente in Occidente. Questo ritorno spirituale è
stato accompagnato anche da nuovi elementi sul piano speculativo. Infatti, a
partire dall'epoca di René Guénon hanno cominciato a essere
tradotte con maggiore consapevolezza in lingue occidentali l'opera di Ibn
`Arabî e anche quella di altri importanti santi dell'Islâm che
presentano straordinarie analogie con quella di Dante, come ad esempio
Farîd ad-Dîn `Attâr, che scrisse il Verbo degli Uccelli, il
Viaggio nel Regno del Ritorno di Sana`î (1080 ca. -1150 ca.), o Ibn Hazm,
autore del trattato sull'Amore intitolato Il collare della Colomba.
Recentemente, inoltre, è stata tradotta in italiano un'opera islamica
diffusa nel XIII secolo in lingua castigliana, provenzale e anche in latino e
da Dante certamente conosciuta: Il libro della Scala di Muhammad, (o di
Maometto come purtroppo si dice ancora in italiano)2(*) riscoperto soltanto nel 1949 e
che, a motivo delle consuete concordanze con la Divina Commedia, scrive
l'orientalista Carlo Saccone, «costituisce a buon diritto uno dei casi
letterari più clamorosi e controversi della prima metà di questo
secolo».1(*)
L'inizio di questo ritorno della presenza orientale tramite la
forma islamica in Occidente può essere fatto risalire, come abbiamo
detto, alla pubblicazione delle opere di René Guénon, che,
riferendosi ai lavori di Asin Palacios a proposito delle corrispondenze della
Divina Commedia con le opere di Muhiyyddin Ibn Arabi, il Vivificatore della
Religione, morto vent'anni prima che Dante nascesse, scriveva: «Tali
coincidenze fin nei dettagli estremamente precisi, non possono essere
accidentali, e noi abbiamo molte ragioni per ammettere che Dante si sia
effettivamente ispirato, per una parte abbastanza importante, agli scritti di
Muhiyyddin; ma come li ha conosciuti? Si considera intermediario Brunetto
Latini, che aveva dimorato in Spagna; ma questa ipotesi ci pare poco
soddisfacente. Muhiyyddin era nato a Murcia, donde il suo nome di Al Andalusi,
ma non passò tutta la sua vita in Spagna, e morì a Damasco;
d'altro lato, i suoi discepoli erano sparsi in tutto il mondo islamico, ma
soprattutto in Siria e in Egitto, e infine è poco probabile che le sue
opere siano state fin da allora di dominio pubblico, quando anzi alcune non lo
sono mai state. Infatti Muhiyyddin fu molto differente dal «poeta
mistico» che immagina Asin Palacios; ciò che quest'ultimo ignora
verosimilmente è che, nell'esoterismo islamico, è chiamato
Esh-Shaykh al-Akbar, vale a dire il più grande dei maestri spirituali,
il maestro per eccellenza, che la sua dottrina è di essenza puramente
metafisica, e che parecchi dei principali Ordini iniziatici dell'Islâm,
fra quelli che sono i più elevati e i più chiusi nello stesso
tempo, procedono direttamente da lui. Abbiamo già indicato che nel XIII
secolo, vale a dire all'epoca stessa di Muhiyyddin, tali organizzazioni furono
in relazione con gli ordini della Cavalleria, e, per noi, è così
che si spiega la trasmissione constatata».2(*)
Ma, vediamo meglio, che cosa furono questi Ordini
Cavallereschi di cui ci parla René Guénon?
Con la conquista di Gerusalemme, durante le crociate, alcuni
cavalieri cristiani presero i voti monastici e ottennero dalla gerarchia
ecclesiastica di potersi costituire come Ordini contemplativi cavallereschi
rinnovando così quell'unità tra spirituale e temporale
simboleggiata dal Cristo, Re e Sacerdote, prefigurata già in Melkisedek,
Re di Giustizia e di Pace che consacrò Abramo in nome di Dio l'Altissimo
e che è nella tradizione giudaico-cristiana una figura di quel Re del
mondo che rimanda sempre alla nozione di una Tradizione Primordiale, di una
Sophia Perennis, di cui le forme rivelate sono come i prolungamenti nella
nostra età, l'età del ferro, l'età della decadenza e della
perdita dei principi spirituali. Tali prolungamenti, le tradizioni ortodosse
attualmente esistenti, permettono però sempre agli uomini di buona
volontà di risalire fino alla conoscenza di Dio, bevendo alla fonte di
vita eterna rappresentata da quel Graal che era un simbolo cavalleresco molto
importante ai tempi di Dante.
D'altra parte la dottrina dei Fedeli d'Amore presente, oltre
che in Dante, anche in Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino
da Pistoia, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Lippo de' Bardi, Dino Compagni,
per citare solo i più famosi, così come prima di loro la dottrina
dei poeti siciliani alla Corte di Federico II, è da considerarsi davvero
ispirata da questa dimensione primordiale riportata dall'Oriente.
L'Amore di cui parlano gli stilnovisti non è che Dio
stesso e la Donna amata, pur considerata nella sua concretezza umana, non
fornisce che l'occasione simbolica per ricordarsi del suo prototipo celeste che
altro non è se non il primo riflesso dell'Intelletto divino in questo
mondo.
L'unione fra l'amante e l'amata è la stessa
contemplazione divina, e il saluto è l'irrompere dell'intelligenza
celeste nell'anima umana; e si ricordi tutta la sofferenza di Dante per il
fatto che Beatrice gli avesse tolto per lungo tempo il saluto. Il fatto poi che
da ultimo però Beatrice ceda il passo a san Bernardo nell'ascesa celeste
è la riprova della superiorità dell'Intelletto divino primo, nei
confronti di quella realtà che, per quanto elevata, è già
una realtà creata.
Al cor gentil ripara sempre Amore,
aveva cantato Guido Guinizzelli, e Dante riprendeva nella
Vita Nuova:
Amore e il cor gentil son una cosa,1(*)
e sottolineava con ciò proprio la conoscenza di Dio per
identificazione. Procedeva poi dicendo come l'Amore risieda nel cuore come
nella sua magione, dove dorme e riposa tal volta lunga talvolta breve stagione;
finché la Bellezza, che appare in una saggia donna, piace così
tanto agli occhi del fedele, che nel suo cuore nasce un desiderio di essa che
talvolta dura così a lungo da far risvegliare lo spirito d'Amore. Dante
conclude dicendo che la stessa cosa provoca nella donna la vista di un uomo di
valore. E in un altro sonetto questo spirito d'amore risvegliato viene attratto
dall'intelligenza celeste fin oltre il cielo empireo.
Oltre la spera che più larga gira
passa 'l sospiro ch'esce dal mio core:
intelligenza nova, che l'Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.1(*)
In cielo lo Spirito incontra Beatrice, archetipo celeste della
bellezza, il desiderio della quale era stato risvegliato nel cuore di Dante
dalla vista della saggia donna terrena.
Ma la sensibilità spirituale che consente
l'operatività dei simboli necessita di un risveglio che non è
facile per l'uomo decaduto dal Paradiso Terrestre, e richiede uno sforzo di
purificazione simboleggiato proprio dalle lacrime amarissime di Amore. Lo
specchio del cuore, per quanto nobile sia in potenza in tutti gli uomini, deve
divenire puro e gentile in atto purificandosi dalle passioni terrene e
distogliendosi dagli oggetti esterni, così da poter attrarre l'Amore
Divino il quale, essendo la Realtà e Luce, non può mancare di
riflettersi ove vi sia uno specchio limpido che Gli venga esposto davanti.
Si può ricordare qui come il Profeta Muhammad ricevette
in tenera età la visita di due angeli che gli aprirono il petto per
estrarne il cuore e purificarlo con la neve in vista della ricezione sacrale
del Sacro Corano che Dio fece poi discendere in lui, ricettacolo eletto tra gli
uomini, nel suo quarantesimo anno d'età.
Una tradizione islamica esprime il simbolismo iniziatico
così: «Vi è per ogni cosa un mezzo per levigarla e ripulirla
dalla ruggine. E ciò che serve a levigare il cuore, è il ricordo
di Dio (il dhikruLlâh)». I segreti del ritmo e dell'armonia delle
sfere che si rispecchiano in ogni espressione sacra sono presenti proprio nel
dhikruLlâh islamico, come ancora forse nella preghiera del cuore
dell'esichiasmo cristiano ortodosso, chiamata anch'essa mnemé,
cioè ricordo, ed anche nei riti interiori di tutte le tradizioni
ortodosse finalizzati al ricordo di Dio tramite l'invocazione del Suo nome.
Attraverso l'incantamento dell'anima che avviene per mezzo del ritmo
dell'invocazione è possibile risalire la scala dell'armonia celeste fino
alla prossimità Divina in cui si realizza l'identificazione del nomen
divino col Numen che ne costituisce l'essenza.
Quanto detto crediamo sia importante per poter concepire come
possano aver avuto origine capolavori assoluti dell'arte e del ritmo come ad
esempio le Cattedrali gotiche della Francia o la Divina Commedia in Italia, per
riprendere l'accostamento suggestivo fatto da Etienne Gilson.
Molti studiosi non riescono a concepire come nell'opera di
Dante l'influsso da parte dell'Islâm possa inserirsi armoniosamente
nell'ambito di un contesto di evidente ispirazione cristiana. Noi pensiamo che
entrambe le cose, sia l'influenza islamica, sia l'ispirazione cristiana abbiano
potuto, senza entrare in contrasto, complementarsi in una sintesi al vertice,
corrispondente alla loro comune origine divina.
Anzi, il fatto che Dante riconoscesse l'Islâm come una
Tradizione autentica rivelata dallo stesso ed unico Dio, a tal punto da trarre
da essa la struttura del suo poema celeste, avvalora ancor più la sua
posizione di cristiano metafisico e di maestro realizzato, non ignaro
dell'unica Rivelazione posteriore al Cristianesimo, che riconferma quest'ultimo
senza affatto abrogarlo, mentre la mancanza di una tale consapevolezza sarebbe
da considerare un sintomo di un'incompletezza di conoscenza che Dante non
accusa in alcun modo. D'altra parte, la conoscenza dell'unità
trascendente delle religioni non è necessariamente alla portata di
tutti, né è un requisito indispensabile per quella salvezza
dell'anima che rappresenta il minimo cui un uomo possa aspirare tramite la
pratica della propria religione e la conformità nella vita ai suoi
precetti, perciò non è strano che Dante abbia potuto,
specialmente nella Divina Commedia, impiegare delle formulazioni tali da non
urtare la sensibilità degli uomini semplici. In questo senso, il modello
universale del viaggio spirituale, così fortemente riproposto dalla
tradizione islamica, viene vissuto nella Divina Commedia con tutto il supporto
del simbolismo cristiano, ad imitazione della vita sacra di Cristo, il quale
salì sul Golgota, morì crocefisso, e nei tre giorni successivi
discese agli Inferi, risorse nella Gloria Divina e ascese al Cielo, da dove si
attende la sua seconda Venuta.
La vicinanza di Dante alla tradizione islamica è
però, come espresso anche dal titolo dell'opera di Asin Palacios,
soprattutto sul piano escatologico, e non solo relativamente all'escatologia
individuale bensì anche, su di un piano macrocosmico, relativamente
all'escatologia universale. Un'importante concordanza, infatti, tra il viaggio
dantesco e le tradizioni islamiche sul viaggio attraverso i mondi, che
rappresentano simbolicamente i molteplici stati dell'essere, fino a Dio,
consiste nell'avere lo stesso punto di partenza: Gerusalemme. È questa
la «novità» del viaggio dantesco rispetto ai viaggi della
tradizione greco-romana.
Se Enea comincia il suo viaggio nel Lazio, poiché in
quell'epoca era Roma il centro spirituale che doveva svolgere una particolare
funzione per la sua epoca, Dante riporta prepotentemente il senso escatologico
per il quale ogni autentico percorso verso Dio deve essere fatto nella
prospettiva e nell'anticipazione di quel momento ultimo in cui il Cristo
verrà, a Gerusalemme, come giudice nel giudizio universale a cui nessuna
anima potrà sottrarsi.
In questo senso, Dante svolge pienamente quella funzione
escatologica di richiamo alle realtà essenziali dell'Ora della fine,
funzione raccomandata vivamente nella tradizione islamica. Si dice, infatti,
che il Profeta Muhammad raccontasse ai suoi compagni della fine di questo mondo
in termini tali che essi temevano che il Dajjâl, l'Anticristo, fosse
ormai in mezzo a loro e che si sarebbe dovuto manifestare quindi il vero
Cristo.
È in questo senso che si manifesta particolarmente la
fratellanza spirituale tra il Cristo e Muhammad, che ha infatti detto
stringendo assieme le dita di una mano: «In questo mondo e nell'altro non
c'è nessuno che mi è più vicino di Saydna `Isa (`a.), il
Cristo».
D'altra parte è emblematico che, secondo una tradizione
islamica veridica, l'imperatore cristiano Eraclio abbia mostrato ad alcuni
ambasciatori inviati dal primo califfo Abu Bakr a Gerusalemme un cofano che
conteneva le immagini di tutti i profeti e nell'ultimo scomparto, la figura di
Muhammad apparsa, nelle parole degli ambasciatori, «come se lo vedessimo
ancora vivo davanti ai nostri occhi».
La realtà metafisica della Gerusalemme terrena esprime
un'anticipazione di quella Gerusalemme celeste che è effettivamente il
raggiungimento di quello stato primordiale al di là del tempo al quale
l'umanità ritornerà alla fine del ciclo, per intraprendere, dopo
la fine, un nuovo ciclo di esistenza, un nuovo mondo.
Cristianesimo ed Islâm, le uniche due tradizioni
cattoliche, nel senso etimologico, cioè universali, destinate
indifferentemente a tutti i popoli e tutte le razze di questo mondo, si trovano
unite così nel riconoscimento della realtà spirituale del Cristo,
e nella comune attesa della sua seconda venuta, a Gerusalemme, al-Quds, la
Città Santa, immagine di quella pace dello Spirito che è la vera
patria d'elezione dei santi e dei cavalieri di tutti i tempi.
Conclusioni
È molto difficile tirare delle conclusioni in un
dominio cosi complesso ed enorme. È estremamente arduo di avere la prova
delle influenze islamiche su Dante e sue opere, come la Divina Commedia,
perché sarebbe necessario provare che aveva fisicamente le fonti.
Noi andiamo verso il diabolica di probatio, la prova
impossibile.in un processo il giudice, obligato a decidere deve in un caso
simili far chiamare le sue proprie convinzioni discese dei dibattiti tenne
durante la procedura. Comunque , questo giudizio rischia di essere influenzato
dalle sue idee e le sue credenze personali. E delle prove possono essere
interpretate così male, ignoto considerato solamente come le semplice
indicazioni.c'è perciò, rischio dell'abuso del potere e
l'ingiustizia, anche se il giudice è della buon fede.
Bibliografia
1-Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei
Fedeli d'Amore, Luni Editrice, Milano 1994.
2-René Guénon, L'Esoterismo di Dante,
Atanòr, Roma 1951
3-Miguel Asin Palacios, La escatologia musulmana en la
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Pratiche Editrice, Parma 1994.
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5-Il Libro della Scala , SE, Milano 1991.
6-V, Proleg., in Etienne Gilson, La philosophie au moyen
age, trad. it. La filosofia nel Medioevo, La Nuova Italia, Firenze
1973.
7-Sana'i, Viaggio nel Regno del Ritorno, Pratiche
Editrice, Parma 1993..
8-Il saggio di Carlo Saccone in conclusione de Il Libro
della scala di Maometto, SE, Milano 1991
9-Dante Alighieri, Vita Nuova
10-Dante Alighieri, La Divina Commedia
* 1 la Divina Commedia, a cura
di Anna Maria chiavacci Leonardo Arnolore Mondadore editore, Settembre
2007 , Milano.
* 1 Dante Alighieri, pagine
scelte, I. P.S,Roma.
* 1 Paradiso XXIII 31-34.
* 1 Luigi Valli, Il linguaggio
segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore, Luni Editrice, Milano 1994.
* 2 René Guénon,
L'Esoterismo di Dante, Atanòr, Roma 1951
* 1 Citazione riportata nel
saggio di Carlo Saccone Il «Mi`raj» di Maometto: una leggenda tra
Oriente e Occidente, incluso ne Il Libro della Scala , SE, Milano 1991.
* 1 V, Proleg., in Etienne
Gilson, La philosophie au moyen age, trad. it. La filosofia nel Medioevo, La
Nuova Italia, Firenze 1973, p. 396-397.
* 2 Il Libro della scala di
Maometto, SE, Milano 1991.
* 1 Vedasi il saggio di Carlo
Saccone in conclusione de Il Libro della scala di Maometto, SE, Milano 1991.
* 2 René Guénon,
L'esoterismo di Dante, Atanor, Roma 1951.
* 1 Amor e il cor gentil son
una cosa,
sì come il saggio in suo dittare pone
e l'uno senza l'altro esser osa
com'alma razional senza ragione.
Falli natura quando è amorosa,
Amòr per sire e il cor per sua magione,
dentro la qual dormendo si riposa
tal volta poca e tal lunga stagione.
Bieltate appare in saggia donna pui,
che piace agli occhi sì che dentro al core
nasce un disio della cosa piacente;
e tanto dura talora in costui,
che fa svegliar lo spirito d'Amore.
E simil face in donna omo valente.
Dante, Vita Nuova XX.
* 1 Il sonetto continua:
Quand'elli è giunto là dove disira,
vede una donna che riceve onore,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.
Vedela tal, che quando 'l mi ridice,
io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente che lo fa parlare.
So io che parla di quella gentile,
però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch'io lo 'ntendo ben, donne mie care.
Dante, Vita Nuova XLIII.
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